LA STORIA
A Milano dietro la polizia che scheda i rom
GIOVANNA BOURSIER
MILANO
In autobus non arrivi mai ma anche il tassista non riesce a trovare il campo rom di via Impastato, estrema periferia milanese, zona sud della città. Alla fine ti lascia per strada, nemmeno un bar a cui chiedere indicazioni, ma se scavalli una collinetta vedi i tetti delle baracche. Ce ne saranno una decina, insieme alle roulottes, come al solito sotto la tangenziale e i piloni dell'alta tensione, su un piccolo piazzale dove vivono circa 40 rom, tutti cittadini italiani, autorizzati dal Comune. C'è una fontana, non ci sono alberi. Volevano piantarli ma poi hanno optato per i vasi con le piante, e hanno fatto una specie di piazzetta fiorita, «così rimane tutto come è stato trovato. Vedi che ordine? Ordine e sicurezza, come dite voi ma piace anche a noi». «Siamo tutti una famiglia qua», interviene Giorgio Bezzecchi, segretario dell'Opera Nomadi milanese che vive in una casa poco lontano, ma ci accompagna da suo padre e sua madre. Perché, da ieri mattina, qua sono tutti impauriti, anche se cercano di non darlo a vedere.
Le forze dell'ordine sono arrivate all'alba, hanno detto che si trattava di un un censimento per identificare gli occupanti e poi fargli una tessera di accesso al campo, «solo che si poteva fare in un altro modo - spiega ancora Bezzecchi, insieme a Maurizio Pagani, sempre dell'Opera Nomadi - invece erano almeno 40 tra poliziotti, carabinieri e polizia locale, hanno svegliato tutti, circondato e illuminato il campo a giorno e poi, casa per casa, hanno chiesto i documenti e li hanno fotografati. Ma questo campo è già stato censito, tutti hanno la cittadinanza, bastava chiedere di andare in un qualunque posto con documenti e foto e tutti sarebbero andati. Invece così fa paura, di questi tempi».
Il padre di Giorgio, Mirko, è un uomo alto, di 70 anni. Nonostante due infarti si accende una sigaretta dopo l'altra. Ma non dice che è preoccupato. Ci offre il caffè e comincia a parlare: «Se lei viene fermata le chiedono la carta d'identità e basta, non c'è bisogno di arrivare in forza, fotografare. Hanno perquisito le case, i cespugli qui intorno, con i guanti, c'era il pullman e i carri attrezzi, forse credevano di trovare auto rubate. Ma noi lavoriamo. Qualcuno in fabbrica, una ragazza è da MacDonald da 4 anni, mai mancata un giorno. Siamo cittadini italiani, ho anche il passaporto, gliel'ho detto ai carabinieri. I miei vecchi erano slavi ma siamo usciti in tempo di guerra, siamo scappati. Ero piccolo. C'era la neve. Sono arrivati con le divise, ci hanno bruciato le case, loro pensavano che fossimo dentro. Per fortuna mio nonno era stato avvertito. Siamo scappati in Italia, poi i fascisti hanno preso me e mio padre e ci hanno messo in un campo, vicino a Teramo. Il papà di mia moglie l'hanno preso a Palmanova e lo hanno ucciso in Germania. Dopo la guerra mia zia materna è tornata da Auschwitz, era marchiata. Ed è da allora che viviamo in Italia. Prima si girava, si vendeva qualcosa, si chiedeva la carità. Sa com'era a quei tempi, non si rubava. Si viveva: poveri ma onesti. Quando siamo arrivati a Milano, 30 anni fa, stavamo su un prato con le roulottes, poi sono arrivati in tanti, sempre più rom, e ci hanno fatto i campi. E ci hanno rovinati. Perché sono favelas, ghetti, ed è cominciata la fine». «Più che la fine - interviene Giorgio - sembra l'inizio. Questo non è un censimento ma una schedatura su base etnica. Cosa vogliono farci?».
Niente, secondo il prefetto Gian Valerio Lombardi, appena nominato commissario all'emergenza rom, «perché quel che dobbiamo fare è scritto nell'ordinanza di nomina dei commissari: accertarsi della presenza di tutti i rom. Chi è regolare non ha nulla da temere, avrà un tesserino e può stare tranquillo. Ma bisogna togliere chi si infila tra loro e delinque. Ho dato disposizioni perché tutto fosse fatto nella massima serenità e umanità». «Infatti erano gentili - dice Mirko - eseguivano solo degli ordini. Speriamo che non succeda come col fascismo». Il primo ordine, del 1940, dice: schedare e censire tutti i rom, per sapere quanti e dove sono.
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