Il Presidente di (quasi) tutti

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Slobodan
00domenica 16 luglio 2006 13:58
Il presidente in un'intervista alla Frankfurter alla vigilia del viaggio a Berlino ribadisce le proprie preoccupazioni sui dissensi all'interno del centrosinistra

Afghanistan, monito di Napolitano
"Un test di coesione per l'Unione"
Per il capo dello Stato, nella maggioranza di governo "piccoli gruppi
su posizioni anacronistiche prive di realismo e con scarso seguito"




ROMA - Un grande contributo al rilancio del progetto europeo e alla soluzione della questione costituzionale. E' quello che possono dare, insieme, Italia e Germania, secondo il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Che alla vigilia della sua visita a Berlino, in programma per il 19 luglio, ne parla in un'intervista al domenicale della Frankfurter Allgemeine nella quale si sofferma, fra l'altro, sulla situazione politica italiana, e sull'impegno del nostro paese in Iraq e Afghanistan, definendo un test di coesione per l'Unione la questione del rifinanziamento delle missioni militari. E ribadisce le proprie preoccupazioni sui dissensi all'interno del centrosinistra.

Afghanistan, la preoccupazione per i dissensi. Sull'impegno italiano in Afghanistan e sui dissensi, a questo proposito, in seno alla maggioranza di centrosinistra, il presidente ribadisce le sue preoccupazioni. "Trovo molto positivo che su questioni di tale importanza si verifichi un consenso trasversale. Una cosa tuttavia è chiara: se la maggioranza di governo non fosse coesa sulla questione della prosecuzione e del finanziamento della missione afgana, e dovesse dipendere da voti decisivi dell'opposizione, ciò sarebbe un grave segno di debolezza del centrosinistra. E ciò avrebbe delle conseguenze".

Politica estera. Napolitano sottolinea come "l'amicizia con gli Usa sia stata sempre uno dei pilastri della politica estera italiana", cosa questa riconosciuta fin dagli anni Settanta anche dal Partito comunista. "Trent'anni dopo - aggiunge - vi sono alcuni piccoli gruppi che mostrano ostilità verso gli Stati Uniti e la Nato". L'intervistatore della Frankfurter gli fa notare che "Rifondazione comunista è pur sempre la terza forza della coalizione di governo". E Napolitano risponde: "Ma, come detto, sono solo piccoli gruppi su posizioni anacronistiche, prive di realismo e con scarso seguito".

Le liberalizzazioni. Napolitano, nell'intervista, fa riferimento alle controverse riforme sulle liberalizzazioni attuate dal governo. E si dice "convinto che la grande maggioranza dei cittadini italiani veda la necessità di introdurre un processo di liberalizzazioni e anche di privatizzazioni". In passato, osserva, "ci fu troppa invadenza dello Stato nell'economia, e la maggior parte dei cittadini sa che questo non poteva reggere". Naturalmente, aggiunge il capo dello Stato, con le recenti riforme "vengono colpiti interessi di gruppi più o meno piccoli, ma ben organizzati, che vogliono difendere alcuni dei loro privilegi". Però "tutti dobbiamo imparare che, senza cambiamenti, siamo condannati al declino".

Europa seconda patria. Per Napolitano, non è esagerato dire che l'Europa è per gli italiani una seconda patria, come da lui sostenuto nel suo primo discorso da presidente. "In Italia questo sentimento rimane molto forte e, se vedo bene, in Germania non è diverso", dice, osservando come in Francia il progetto europeo sia "più controverso".

Germania e Italia, colonne d'Europa. "Germania e Italia sono le colonne di questa visione dell'Europa. E non si dovrebbe perdere di vista che anche Stati membri più giovani dell'Unione, come la Spagna, hanno sviluppato un forte senso dell'Europa", aggiunge Napolitano. Che poi parla del contributo che l'Italia può dare al rilancio del progetto europeo, ma "soltanto insieme ad altri, prima di tutti la Germania, che è alla vigilia di una presidenza Ue straordinariamente importante". Il nostro Paese, prosegue, può contribuire a trovare una soluzione sulla questione costituzionale, accettabile anche per Stati come Francia e Paesi Bassi. Sarà importante concentrarsi sulle parti propriamente costituzionali del Trattato del 2004".

(15 luglio 2006)
Slobodan
00domenica 16 luglio 2006 13:59
La sponda di Fausto
L'INTERVISTA «La sinistra sia leale, avanti per cinque anni» Bertinotti: chi rompe questo patto con gli elettori esce dalla sfera della politica Alleanza con i «borghesi buoni» per fare le riforme, ma il conflitto di classe resta

Ritiene che l'Europa non se la possa più cavare con qualche richiamo generico, ma debba intervenire subito e pesantemente in un Medio Oriente dove ormai è guerra vera e propria. Anche con una forza di interposizione? «Sì – risponde il presidente della Camera Fausto Bertinotti – a patto che con i soldati arrivi un grande progetto politico ed economico». Ritiene anche che sull'Afghanistan non si possa mettere a repentaglio la vita del governo, pena la rottura di quel preciso patto con il popolo della sinistra che prevede cinque anni di governo per risanare il Paese. Ritiene, infine, che questo risanamento possa realizzarsi anche con una sorta di alleanza con quei "borghesi buoni" che «hanno capito che è il momento di dare loro un contributo, perché non si possono chiedere solo sacrifici agli altri».

Presidente Bertinotti, in Medio Oriente è guerra. Ma l'Europa dov'è?
«Effettivamente finora abbiamo visto un orientamento geopolitico tutto giocato in una dimensione atlantica. Un'Europa così rivolta verso ovest da essersi dimenticata del suo sud, che però è il suo cuore pulsante. Anche per questo, ogni volta che israeliani e palestinesi hanno dovuto trovare un interlocutore terzo, sono andati negli Stati Uniti. E' arrivato il momento di svolgere una nuova funzione. Anche sotto una pressione che arrivi dal nostro Paese, che ha una vocazione geopolitica e non di schieramento su questa area del mondo».

Secondo Lei esiste e in che misura un uso sproporzionato delle forze da parte di Israele?
«Esiste, non c'è dubbio. Con il che non nego minimamente che la minaccia terroristica venga percepita da un Israele che sente crescere le propensioni a mettere in discussione la sua esistenza. E che perciò ritiene che quelle propensioni vadano combattute a fondo. Ma il governo israeliano dà una risposta sproporzionata, che colpisce cioè obiettivi il cui danno a vite umane e alla comunità diventa un elemento di crisi nella crisi. Questo susseguirsi di terrorismo- replica sovradimensionata porta a una spirale che aggrava la crisi e rischia di portarla in un vicolo cieco, cioè a una diffusione della disperazione e dell'impotenza. Si rischia il non ritorno. Ne è espressione, anche, la tentazione del governo israeliano di andare a una soluzione unilaterale del problema. Lo dico sia quando c'è il ricorso alle armi, sia quando si ricorre a un gesto – pur positivo – come il ritiro dei coloni da Gaza. Due misure opposte ma entrambe iscritte a un'idea di unilateralità, di pensare di poter fare a meno del negoziato. Questo non esiste. Così non se ne esce. Solo il negoziato, il riconoscimento reciproco, possono risolvere la situazione».

E' però difficile riconoscere un governo, come quello di Hamas, che fa della distruzione di Israele uno dei suoi punti fondamentali. Neanche l'Europa ha potuto far diversamente.
«E' giustissimo avere una inquietudine e una critica su Hamas. Ma sarebbe sbagliato fissare questa critica in una sorta di fissità e inamovibilità che impedisca di lavorare alla sua modifica. Così anche i piccoli passi non potranno mai essere apprezzati. E' come il bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto: si può scegliere di investire sul mezzo pieno oppure di sottolineare il mezzo vuoto. E' a quel punto che la propensione negoziale diventa una grande chance, perché è l'unica che scommette sull'evoluzione dei soggetti in campo. Il negoziato è l'unica carta».

L'idea di una forza di interposizione ha un senso in questa situazione?
«Ha un senso se è legata a un grande protagonismo politico. Una forza di interposizione dovrebbe essere l'espressione di una volontà interventista sul terreno del progetto politico – fondato sui due Stati per i due popoli – sul quale l'Europa si spenda politicamente e con investimenti economici. Facendo di quel bacino il trampolino di lancio del suo nuovo protagonismo politico. E che serva a riprendere e rilanciare lo spirito di Ginevra».

C'è un'altra area calda, l'Afghanistan, che rischia di creare contraccolpi interni in vari Paesi. A cominciare dal nostro, dove il governo traballa perché qualche ribelle non vuole vuole rifinanziare la missione. Possibile si debba ricorrere di nuovo alla fiducia?
«Sono già troppo criticato per concepire il ruolo di presidente della Camera come attivo sui temi della politica e quindi non entro nel merito. Se non per osservare che questa polemica rischia di oscurare agli occhi del popolo italiano e in particolare di quello della sinistra il cambiamento che sta intervenendo nella politica internazionale dell'Italia e nella sua ricollocazione come forza di pace. Cito tre elementi:
1) il ritiro dall'Iraq;
2) il rifiuto che si sta manifestando ad operare dove si determinino i rischi e le minacce di nuovi teatri di guerra;
3) un'accentuazione della presenza internazionale come forza di pace e di solidarietà. Non una concezione di una collocazione di pace come di sottrazione ai problemi internazionali, dunque, ma criteri diversi.
Uno degli elementi distorcenti del dibattito sull'Afghanistan è proprio l'oscuramento di questo tratto essenziale».

Non c'è in alcuni settori della maggioranza una sottovalutazione del ruolo di governo del Paese? E' concepibile che un parlamentare di Rifondazione Comunista, Salvatore Cannavò, affermi che «è così divertente vedere Prodi che arriva in Aula senza sapere quali saranno i numeri»?
«Al di là dei casi personali, la questione che si pone a chi, a sinistra, accetta un compromesso programmatico e la ricerca di una larga alleanza per sconfiggere il centrodestra, è quella di andare oltre l'emergenza. Non credo possa vivere mai a lungo una cultura emergenzialista. Mai, anche a sinistra. Non si può pensare di tenere a lungo un'alleanza giustificata solo per sconfiggere Berlusconi. Bisogna andare avanti. Per cinque anni».

Cinque anni… Con l'aria che tira Le pare credibile?
«Nei confronti del Paese abbiamo una precisa responsabilità. I problemi che ha la sinistra sono due: il primo, elementare ma potente, è questa lealtà nei confronti del popolo che l'ha votata per durare cinque anni. Su questo patto, il popolo della sinistra non ammette deroghe. C'è un problema di lealtà così forte che chi non vi tiene fede esce dalla sfera della politica come esercizio della medesima nelle istituzioni. Ci sono mille modi per fare politica, quello dei movimenti, delle associazioni, del volontariato. Non forme minori, ma diverse, accessibili. Questa è accessibile solo all'interno di questo patto di lealtà. Non è questione di disciplina, di espulsioni… No, pongo un problema proprio di statuto della politica».

Il secondo punto?
«E' strategico. Io penso che per una sinistra alternativa, questo passaggio dei cinque anni sia indispensabile per promuovere anche la competizione con le forze moderate e riformiste. Avendo l'idea di un'Europa integralmente pacifista, capace di realizzare un modello sociale ed economico diverso e per molti versi alternativo rispetto alle grandi coordinate delle politiche neoliberiste, un'Europa della partecipazione. Ma questa alternativa si può realizzare solo in quanto si compia questo attraversamento. Dunque: un patto di lealtà con il Paese e con il tuo popolo e poi la maturazione di un'alternativa di società che può passare solo attraverso il compromesso dei cinque anni. E la penso così perché ritengo che il tema della giustizia sociale e del risanamento economico non stanno insieme in ragione di mediazione di forze politiche e sociali vocate all'una o all'altra delle questioni ma perché la crisi dell'economia e della società italiana chiede una grande operazione di riforma in cui siano coopresenti questi due elementi».

Serve un'alleanza con i «borghesi buoni»?
«Esatto. E quando parlo di borghesi, penso a una borghesia che abbia il senso di sé e del suo ruolo. L'Italia ha problemi gravi. La conformazione sociale del Paese è stata duramente pregiudicata dalle politiche liberiste. Della crisi della coesione sociale, la precarietà è l'elemento fondativo perché non è semplicemente una condizione sociale ma anche civile, tende a diventare la cifra del Paese. Dentro questa, la disuguaglianza è diventata esponenziale. Se guardassi alla realtà solo così, la grande riforma dovrebbe essere essenzialmente sociale. Ma la nostra economia è stata colpita anche dai guasti del liberismo, che ha distrutto potenziali di crescita economica, di sviluppo. Le forze dinamiche della società sono impedite non dai “lacci e laccioli” prodotti ex ante, dal conflitto sociale, ma proprio dalle politiche liberiste. Penso alla crescita esponenziale dell'evasione fiscale, all'elusione sistematica e corrosiva dell'attitudine di cittadinanza, all'economia criminale, alla voragine del sommerso».

Cosa chiede dunque a questi “borghesi buoni”?
«Di fare la loro parte. Perché nei giorni scorsi ho citato l'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne? Perché parla della risposta ai problemi dell'impresa, non scaricando sui lavoratori e sul sindacato, ma assumendola su di sé. Ancora: il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi parla con un linguaggio che da un punto di vista delle politiche economiche generali mi trova lontanissimo ma dentro cui leggo la spina dorsale di un discorso che si scontra con tutti gli elementi di complicità con i fenomeni degenerativi e anzi propone quasi un'etica protestante. Ho anche apprezzato la parte del discorso del ministro dell'Economia Tommaso Padoa Schioppa all'assemblea dell'Abi dedicata alle corporazioni: ne ha assunto le valenze positive, in quanto però siano in grado di autodisciplinarsi come elementi di selezione dei fattori innovativi e dinamici. Ecco, questi sono casi in cui mi pare di vedere delle tracce, di un emergere di fattori nuovi. Che però non mi fanno minimamente pensare a cancellare il conflitto di classe.
Ma nel momento in cui si affacciano, insieme alle ragioni di contrasto, questi elementi, penso che – in termini inediti – vada riprogettata una convergenza di medio periodo per realizzare la grande riforma del Paese».

Insomma, alleanza con i borghesi buoni e i liberali moderati
«Con quella parte delle classi dirigenti e imprenditoriali che si pongono il problema del loro concorso a questa grande operazione in modo diverso dal ventennio precedente. Finora ho sentito parlare solo di flessibilità e riduzione del costo del lavoro per unità di prodotto. Di privatizzazioni e liberalizzazioni. In altre parole è stato chiesto ai lavoratori di fare sacrifici e allo Stato di ritrarsi. Ora mi interessa che affiori invece nei protagonisti di questa offensiva la presa di consapevolezza che tocca a loro dare un contributo. Attraverso la loro capacità innovativa e di autorisanamento».

Può essere il Dpef il banco di prova di questo nuovo dialogo?
«Potrà diventarlo in futuro. Quest'anno, purtroppo, non può che essere frutto di un fuoco fatto in fretta con la legna che c'è. Quale che sia il giudizio sull'equilibrio raggiunto tra crescita, giustizia sociale e risanamento, bisogna far fronte a un'emergenza. Dal prossimo anno, il Dpef può diventare uno strumento importante a condizione che riacquisti l'identità di un programma di vasto respiro».

Altrimenti, meglio toglierlo di mezzo…
«Certo. Non ci sono vie di mezzo. Se deve rimanere così, tanto vale andare direttamente alla legge Finanziaria. Oppure deve riacquistare la dignità di un programma economico di respiro, partendo da un lavoro che ci dica entro un anno cosa è l'Italia di oggi. Mettiamo insieme, in una sorta di laboratorio allargato, i più grandi centri di ricerca del Paese. Ridiamo un ruolo al Cnel. E costruiamo il quadro analitico più condiviso possibile della realtà economica e sociale del Paese. Una sorta di grande semilavorato sul quale il soggetto politico, Governo e Parlamento, organizzi la propria discussione. Un Dpef così sarebbe davvero il modo di evidenziare il cambiamento di gestione della cosa pubblica».


Antonio Macaluso
16 luglio 2006

ISKRA!
00lunedì 17 luglio 2006 03:07
Già, il tema Afghano è talmente scottante che sta facendo avvicinare una possibile scissione in Rifondazione.
Nessuno la vuole, ma Bertinotti sta davvero facendo la faccia durissima per difendere il rifinanziamento della missione Afghana.

Rifondazione, dopo 8 anni di opposizione, prima all'Ulivo e poi a Berlusconi, e dopo un quinquennio di "pacifismo senza se e senza ma", si è trovata a dover porre un sacco di ma e di se sul piatto della bilancia, in politica estera, e le scottature estive, si sa, bruciano.

600 Pacifisti si sono "autoconvocati" a Roma per sostenere gli 8 senatori dissidenti dell'Unione, di cui metà rifondaroli, tra questi Gino Strada, Dario Fo e Beppe Grillo, che sono stati in questi anni dei veri e propri "opinion makers" del movimento, per dirla con vezzoso anglismo.

Se il passaggio della mozione, sostanzialmente, non è in discussione, sul piatto c'è in realtà la dissoluzione dell'idea di una politica estera condivisa tra la sinistra riformista e quella radicale.
Al di là del merito, è oggettiva la distanza allargatasi tra il pacifismo predicato negli anni passati e la "real politik" di questa fase estiva, fatto questo che rischia di rendere vano il progetto di internità al movimento enunciato da Bertinotti pochi mesi or sono.

Quanto al piano internazionale, il progetto dell'Ulivo e quello della sinistra d'Alternativa sono anche qui diversissimi, il primo calato in una prospettiva di "atlantismo europeo", ben incarnato da D'Alema, il secondo più tendente ad un terzomondismo con differenti interpretazioni della sostanza delle crisi internazionali.

Il documento di presunta sintesi, ovviamente, non può che rattoppare una condizione di oggettiva distanza, tanto che l'ipotesi, ventilata con angoscia, delle "geometrie variabili" è temuta proprio perchè non del tutto irrealizzabile.

Che la politica estera sarebbe stato il più bruciante dei percorsi era già noto... Molti, ovviamente, si aspettavano una maggioranza diversa al senato, che potesse allegramente sbattersene dei problemi di coscienza di pochi... Ma il tema, bisogna ammetterlo, non è per nulla secondario, essendo probabilmente uno dei centri delle mobilitazioni e delle lotte di questi anni, ed investendo direttamente aspetti emotivi e non solo fredde cifre numeriche o di bilancio.

Insomma, questo governo Prodi pattina già sul ghiaccio... e d'estate si sa, è particolarmente sottile...


Hasta Siempre... [SM=x584499]
zobmie
00lunedì 17 luglio 2006 11:49
Avrò gusti superati però io preferirei che le cariche istituzionali (Presidenti Parlamento e Repubblica) non entrassero troppo con giudizi personali nelle intricate faccende politiche.
Sarà pur un loro diritto ma rischiano alla lunga di "puzzare".
Slobodan
00lunedì 17 luglio 2006 14:25
Re:

Scritto da: zobmie 17/07/2006 11.49
Avrò gusti superati però io preferirei che le cariche istituzionali (Presidenti Parlamento e Repubblica) non entrassero troppo con giudizi personali nelle intricate faccende politiche.
Sarà pur un loro diritto ma rischiano alla lunga di "puzzare".



io che sono stato innamorato di Pertini e del Cossiga ultimo atto,apprezzo invece molto le "punzecchiature" di Giorgio Napolitano.
Ma tu eri piacevolmente abituato a Ciampi e Casini ed alla loro istituzionalizzazione delal Mummia(e hai pure votato Sì al referendum che prevedeva un presidente di cera,i nquesto sei coerente e lineare!),io invece no,mi ero rotto le palle.
Bertinotti ha già dimostrato,in due mesi,di non poter fare il Presidente della Camera alla Iotti ma continua ad essere un partigianissimo protagonista della vita politica italiana.di dubbio gusto,ma lecito,in questo sisitema politico 2006.
Napolitano invece offre sempre spunti intelligenti ed azzeccati,poi certamente lo fa anche perchè ha bisogno di legittimarsi nei confronti di mezzo Paese e se questo gli costa l'irritazione di frange marginali dell'estrema sinistra che gli frega,anzi è pure un bene.
Non avrei mai sopportato un Almirante plaudire Pertini,non vedo perchè oggi un Capo dello Stato di una Repubblica Democratica debba avere il sostegno dei ferrando...
zobmie
00lunedì 17 luglio 2006 16:07
Guarda che io finora condivido al 90% quello che va dicendo Napolitano.

Metto però le mani avanti per quando dirà o farà, a mio giudizio, qualche cazzata.
Alla Scalfaro, per intenderci (anche se mi sembra di tutt'altra tempra).

Ad ogni modo, come rappresentante dell'unita nazionale, non dovrebbe sbertucciare frange che hanno rappresentanti in parlamento.

Slobodan
00lunedì 17 luglio 2006 19:31
Re:

Scritto da: zobmie 17/07/2006 16.07


Ad ogni modo, come rappresentante dell'unita nazionale, non dovrebbe sbertucciare frange che hanno rappresentanti in parlamento.




unità nazionale non vuol dire cani&porci...

i fascisti sono(dovrebbero esserlo almeno...non fosse per quel mentecatto di berlsuconi che li ha imbarcati)fuori dal mio senso di unità nazionale.
allo stesso modo è fuori l'ultrasinistra, fascisti rossi.
zobmie
00lunedì 17 luglio 2006 19:54
Re: Re:

Scritto da: Slobodan 17/07/2006 19.31


unità nazionale non vuol dire cani&porci...

.




Se sono in parlamento non sono cani e porci.
Vanno combattuti (magari chiedendo anche la loro esclusione) ma, fin che vi risiedono, costituzionalmente rispettati.
Il loro voto vale come quello degli altri parlamentari; anche per eleggere o meno Napolitano o Bertinotti o Prodi a Presidente di questo o quello (e, a quanto sembra, sono stati ben accetti).

ISKRA!
00lunedì 17 luglio 2006 20:56
Re: Re:

Scritto da: Slobodan 17/07/2006 19.31
allo stesso modo è fuori l'ultrasinistra, fascisti rossi.



Faccio finta di non leggere...

[SM=x584473]
ISKRA!
00lunedì 17 luglio 2006 20:56
Re: Re: Re:

Scritto da: zobmie 17/07/2006 19.54


(magari chiedendo anche la loro esclusione)




Vabbè... qui stiamo degenerando...

[SM=x584452]
zobmie
00lunedì 17 luglio 2006 23:51
Re: Re: Re: Re:

Scritto da: ISKRA! 17/07/2006 20.56


Vabbè... qui stiamo degenerando...

[SM=x584452]

<!--FFZQUOTEEND--


Evidentemente non mi sono spiegato bene:

seguendo il discorso di Slobo dicevo che se in parlamento dovessero sedere cani e porci è lecito chiedere anche la loro esclusione.
Ad ogni modo per me oggi non è il caso: in parlamento possono starsene seduti tranquillamente tutti.
Slobodan
00martedì 18 luglio 2006 00:13
Re: Re: Re:

Scritto da: ISKRA! 17/07/2006 20.56


Faccio finta di non leggere...

[SM=x584473]



fai male a sentirti chiamato in causa.

non intendevo certo come ultrasinistra il PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA.

io quotavo solo Giorgio...
Slobodan
00martedì 18 luglio 2006 00:33
"E' ricercando l'impossibile che l'uomo ha sempre realizzato il possibile. Coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che appariva loro come possibile, non hanno mai avanzato di un solo passo."

[Michail Bakunin]

a parte che non capisco come nell'altra cartella tu abbia una firma differente...la frase di Bakunin comprendo sia molto affascinante.
la prendo come critica personale.e come tale,la rispedisco al mittente(vabbè,ai suoi attuali curatori d'immagine [SM=x584433] )

L'ha poi ripresa il Guevara,col suo famoso " siamo relaistici,esigiamo l'impossibile"

ma non è vero che il "riformismo reale" non abbia mai avanzato di un passo.anzi.
è,purtroppo,vero che molti passi indietro sono addebitabili agl isprovveduti(se contrapposti ai saggi,come psicanaliticamnete ammette egli stesso)che hanno tentato il salto nel buio e nel vuoto...
Slobodan
00lunedì 24 luglio 2006 13:57
Giorgio replica a Zombie

Scritto da: zobmie 17/07/2006 11.49
Avrò gusti superati però io preferirei che le cariche istituzionali (Presidenti Parlamento e Repubblica) non entrassero troppo con giudizi personali nelle intricate faccende politiche.
Sarà pur un loro diritto ma rischiano alla lunga di "puzzare".



Il capo dello Stato saluta i giornalisti parlamentari e difende
il suo "stile": "Non posso essere un silenzioso spettatore"


Napolitano: "Unione e Cdl
evitino spirale distruttiva"
Il presidente interviene anche sulla crisi mediorientale
"L'Unione europea deve essere la nostra bussola"



ROMA - Maggioranza e opposizione, nei loro rapporti, devono cercare di non avvitarsi in ''una spirale distruttiva''. Lo chiede il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel corso della tradizionale cerimonia del Vantaglio con la stampa parlamentare. Una chiacchierata in cui l'inquilino del Colle difende il suo stile presidenziale: "Non posso essere un silenzioso spettatore", incalza. E in cui affronta anche altri temi, tra cui quello - caldissimo - della crisi mediorientale: "La mostra bussola deve essere l'Unione Europea", dichiara.

Rapporti Cdl-Unione
Il capo dello Stato ricorda di avere già sostenuto, quando il centrosinistra era all'opposizione, di ritenere "pericolose le forzature della maggioranza e le reazioni nervose dell'opposizione'': è questa, a suo giudizio, la "spirale distruttiva alla quale spero non arriveremo. Speriamo bene''.

Allarme intercettazioni
Su questo fenomeno, che coinvolge profili diversi legati al diritto dell'informazione, a quello alla privacy e alla sicurezza dei cittadini, Napolitano chiede di trovare soluzioni "equilibrate", "non incompatibili tra loro". Di fronte all'emergere di quelle che definisce "situazioni sconcertanti".

L'interventismo del Colle
La critica di "scarso o eccessivo interventismo è un rischio che corrono tutti i capi di Stato non esecutivi"; i quali, però, "non possono ridursi a silenziosi e inerti spettatori"."Ho rifuggito schematismi", precisa il presidente, a proposito del suo "stile": "Ho auspicato un clima sempre più costruttivo tra gli schieramenti e sono intervenuto per evitare l'insorgere di problemi politici gravi".


Carceri sovraffollate
Napolitano sollecita l'individuazione di "rimedi di fondo" al problema. "Sono molto attento alla questione", spiega "e alle cause per cui periodicamente si propone quste emergenza, soprattutto ai rimedi di fondo" con i quali ovviarle". Sarà, conclude, "una delle preoccupazioni del nuovo Csm".

Crisi libanese
Il presidente ricorda che "l'impegno europeo deve essere la nostra bussola, dobbiamo avere fiducia nel ruolo che l'Ue può svolgere nel quadro internazionale, soprattutto nei confronti del Medio Oriente".

(24 luglio 2006)
zobmie
00lunedì 24 luglio 2006 16:57
Nonostante finora Napolitano abbia espresso posizioni a mio giudizio equilibrate e condivisibili, rimango della mia idea.

Esternare è pur sempre pericoloso e di dubbia correttezza: ad esempio il suo incitamento verso privatizzazioni e liberalizzazioni mi sembra pur sempre un'invasione nel campo dell'esecutivo.E' un punto di vista piuttosto opinabile, controverso.

A lungo andare il Presidere rischia di non essere più il capo di tutti gli italiani ma un rispettabile capo di una sola parte .
Inoltre, un Presidente dura in carica per più di una legislatura e nulla vieta che in futuro gli italiani scelgano una politica opposta a quella che lui oggi sostiene: ciò sarebbe piuttosto imbarazzante.
Ad ogni modo, almeno per questa legislatura Napolitano dovrebbe essere sostanzialmente in linea con la sinistra (almeno quella moderata) e quindi contraccolpi significativi forse non ne arriveranno. Se il destino avesse voluto che a Capo dello Stato fosse eletto uno della destra (un Pera, ad esempio) credo che se avesse seguito la politica delle sue personali esternazioni la penisola sarebbe già piena di alti lamenti.
E non si può concedere a Napolitano quello che non si sarebbe concesso ad un Pera o ad un Berlusconi (si mormorava che anche lui fosse un papabile [SM=x584445] ).
Slobodan
00martedì 29 agosto 2006 18:35
Giorgio, il MIO Presidente
Messaggio del presidente alla fondazione intitolata allo storico leader socialista

All'epoca dell'invasione Urss il capo dello Stato attaccò Giolitti e lo stesso Nenni

Napolitano: "Sui fatti d'Ungheria aveva ragione Pietro Nenni"

ROMA - Sull'invasione sovietica dell'Ungheria Pietro Nenni aveva visto giusto. A sostenerlo è il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in un breve messaggio inviato al presidente della Fondazione Nenni, Giuseppe Tamburrano, e oggi riportato da l'Unità in prima pagina. Un messaggio che verrà pubblicato, insieme al capitolo sul '56 tratto dall' autobiografia di Napolitano "Dal Pci al socialismo europeo", in un libro-riflessione che la Fondazione farà uscire a fine ottobre.

Napolitano, che - riferisce l'Unità - è stato invitato a Budapest in occasione delle celebrazioni per i 50 anni dalla rivolta ungherese, aveva già riconosciuto 20 anni fa che Antonio Giolitti aveva avuto ragione nel criticare l'intervento militare sovietico. Ma nel suo messaggio di ora a Tamburrano, Napolitano sottolinea anche le ragioni di Pietro Nenni. "La mia riflessione autocritica sulle posizioni prese dal Pci e da me condivise nel 1956 - scrive il capo dello Stato - e il suo pubblico riconoscimento da parte mia ad Antonio Giolitti di 'aver avuto ragione' valgono anche come pieno e dovuto riconoscimento della validità dei giudizi e delle scelte di Pietro Nenni e di gran parte del Psi in quel cruciale momento".

Cinque righe, sottolinea l'Unità che faranno discutere. Non solo perchè nel '56 Napolitano, allora giovane funzionario del Pci, uso' parole dure contro Giolitti e contro il Psi che condannavano l'intervento militare sovietico, sostenendo invece che si trattasse di un elemento di "stabilizzazione internazionale" e addirittura di un "contributo alla pace nel mondo", ma anche perchè, sottolinea il quotidiano, dare ragione a Nenni significa riconoscere "ad un partito della sinistra (i compagni con cui si era costituito il Fronte Popolare) la capacità di aver visto giusto".

Per Giuseppe Tamburrano le parole di Napolitano "hanno un enorme valore". "So bene - dichiara il presidente della Fondazione Nenni - che il Pci del '56 non avrebbe potuto rompere con Mosca, ma certo, aggiunge, "guardando indietro con gli occhi di oggi mi viene da dire che se allora il Pci avesse assunto una posizione meno netta, se avesse prevalso Di Vittorio, che ha sempre criticato l'intervento sovietico a reprimere la rivolta popolare ungherese, forse avremmo avuto una storia diversa dell'Italia e della sinistra italiana...".

(29 agosto 2006)
stella rossa
00mercoledì 30 agosto 2006 09:34


slobo...dal presidente di (quasi) tutti al MIO presidente!!!!!



[SM=x584489]
Slobodan
00giovedì 31 agosto 2006 11:54
Re:

Scritto da: stella rossa 30/08/2006 9.34


slobo...dal presidente di (quasi) tutti al MIO presidente!!!!!



[SM=x584489]



guarda che era già,fin da subito,il MIO Presidente...

ho scritto quasi pensando a quei" piccoli gruppi anacronistici"...e piccoli sì,ma anacronistici noi socialisti mai. [SM=x584429]
Slobodan
00giovedì 26 ottobre 2006 17:59
dopo quello sull'eutanasia, un richiamo affinchè si parli anche di precariato.

Dal Politecnico di Torino il capo dello Stato richiama l'attenzione sul disagio degli atenei dopo i tagli previsti dalla Finanziaria

Napolitano incontra gli studenti
"Il Parlamento si occupi dei precari"





TORINO - Il capo dello Stato richiama l'attenzione del Parlamento sul problema del precariato tra i giovani. L'intervento del presidente della Repubblica arriva nel momento in cui dal mondo della scuola si leva un coro di proteste per i tagli inseriti nella Finanziaria. Giorgio Napolitano è intervenuto questa mattina all'inaugurazione dell'anno accademico al Politecnico di Torino e quando è uscito ha trovato ad attenderlo un gruppo di precari che protestava per i tagli delle spese.
Il capo dello Stato ha ricevuto un rappresentante dei manifestanti e poi ha detto: "E' un problema molto serio. Mi auguro possa essere affrontato nella sede giusta, cioè in Parlamento".


Poco prima era stato il rettore di Torino, nel discorso inaugurale, a chiedere al capo dello Stato di farsi portavoce del disagio nelle università e "contribuire a rappresentare la gravità di una crisi che minaccia i pilastri su cui si fonda il progetto di rilancio del nostro paese: il sistema formativo ed il sistema della ricerca".

Nei giorni scorsi sono state inviate al presidente del Consiglio, Romano Prodi e al ministro dell'Università e della Ricerca, Fabio Mussi, due petizioni firmate da oltre 4mila docenti che chiedono al governo di modificare quegli articoli della Finanziaria che prevedono un taglio alle risorse per la ricerca e l'università e che decurtano gli stipendi di ricercatori, associati e ordinari, rimandando a un secondo tempo i provvedimenti di riforma del settore. Resta confermato inoltre per il 17 novembre lo sciopero dell'università e del comparto della ricerca, con due manifestazioni davanti a Parlamento e Palazzo Chigi.
Un altro fronte aperto è quello della minaccia di dimissioni del ministro Mussi, che ha manifestanto l'intenzione di dimettersi se il governo non rivedrà il programma di tagli.



(26 ottobre 2006)

Molto bene.
Adesso speriamo che non venga tutto insabbiato come il richiamo ad affrontare il tema dell'eutanasia...

Il Parlamento DEVE porre nella sua agenda il tema del precariato,che è uan realtà/piaga della nostra società che coinvolge milioni di giovani(e non solo,ormai).

Una certa politica economica da opportunità(flessibilità) si è ormai trasformata in emergenza sociale(precariato):c'è chi la difende e chi la contrasta,ma tutto resta aleatorio,affidato a dichiarazioni ansa.nessuno pare voglia davvero andare a fondo alla questione .
E' davvero necessario che le Camere,il Governo, le forze politiche di maggioranza e opposizione e le parti sociali più rappresentative vi mettano mano,perchè il futuro dei giovani è il futuro di un Paese.
Pare che questa legislatura affronterà il tema delle pensioni...io credo sia prioritario affrontare la realtà giovanile dove il precariato si sta espandendo senza soluzione di continuità,e farlo presto,prima che diventi insostenibile e la rotta impossibile da raddrizzare.
le pensioni di domani non si tuteleranno limando quelle di oggi,ma offrendo una prospettiva lavorativa e contributiva stabile ai nostri ragazzi.
Slobodan
00martedì 2 gennaio 2007 12:13
Che bel discorso di Capodanno! [SM=x584457] [SM=x584460] [SM=x584458]


A voi che mi ascoltate, e a tutti gli italiani, in patria e all' estero il più cordiale augurio di Buon Anno.

È un augurio che vi rivolgo per la prima volta da Presidente della Repubblica. Rivivo la lontana emozione del mio incontro con la politica nell' Italia appena rinata alla democrazia. E colgo l' occasione per dirvi dunque brevemente dell' esperienza che sto compiendo da alcuni mesi e dei problemi con cui mi sono misurato. Mi sono stati già affidati nel passato delicati incarichi nelle istituzioni italiane ed europee. Ma sto ora verificando quanto sia più complessa e impegnativa la responsabilità che la nostra Costituzione attribuisce al Capo dello Stato. Interpretare ed esprimere, con passione civile e con assoluta imparzialità, sentimenti e valori condivisi, esigenze e bisogni che riflettono l' interesse generale del paese. E guardare sempre all' unità nazionale come bene primario da tutelare e consolidare. A questo più alto incarico sono stato chiamato all' indomani di un voto che ha visto gli elettori dividersi in due parti quasi uguali, tra loro nettamente contrapposte. Le diversità, anche radicali, degli orientamenti e dei programmi, e quindi l' asprezza dei contrasti, non possono preoccupare perchè fanno naturalmente parte della competizione democratica. E non cancellano tutto quel che ci unisce come italiani. Ma forte è il bisogno di un clima più sereno e costruttivo. Ho creduto e credo di doverlo dire.

Se la politica diventa un continuo gridare, un gareggiare a chi alza di più i toni, uno scontrarsi su tutto, su ogni questione, in ogni momento, ne soffrono le istituzioni, a cominciare dal Parlamento, e ne soffre il rapporto con i cittadini. Quando nel frastuono generale non si possono nemmeno più cogliere bene le diverse posizioni e proposte, allora molti finiscono per allontanarsi non da questo o da quel partito, ma dalla politica. E invece, attenzione. A chi mi ascolta, e a tutti gli italiani, vorrei dire: non allontanatevi dalla politica. Partecipatevi in tutti i modi possibili, portatevi forze e idee più giovani. Contribuite a rinnovarla, a migliorarla culturalmente e moralmente. Lessi molti anni fa e non ho mai dimenticato le parole della lettera che un condannato a morte della Resistenza, un giovane di 19 anni, scrisse alla madre: ci hanno fatto credere che 'la politica è sporcizià o è 'lavoro di specialistì, e invece 'la cosa pubblica siamo noi stessì. Quelle parole sono ancora attuali: non ci si può rinchiudere nel proprio orizzonte personale e privato, solo dalla politica possono venire le scelte generali di cui ha bisogno la collettività, e la partecipazione dei cittadini è indispensabile affinchè quelle scelte corrispondano al bene comune. Ma a questo fine è importante che vi sia più dialogo, più ascolto reciproco, tra gli opposti schieramenti. Non abbracci confusi, ma nemmeno guerre come tra nemici piuttosto che polemiche tra avversari. È questo l' appello che ho rivolto e che continuo testardamente a rivolgere ai protagonisti della vita politica, interpretando, credo, il comune sentire dei cittadini. Quel che auspico è lo stesso clima consolidatosi, nella politica e nelle istituzioni, in grandi paesi democratici. È possibile che ci sia anche da noi, confido che ci si arriverà.

Attraverso un confronto costruttivo si potranno ricercare - e questo, in sostanza, è ciò che preme a tutti noi - le soluzioni migliori ai problemi più gravi del paese. Ne citerò qualcuno che sento di più. Innanzitutto quello di far crescere e progredire l' Italia nel suo insieme. Le difficoltà non sono poche, lo sappiamo: dobbiamo alleggerirci del pesante debito pubblico accumulato nei decenni scorsi, e ciò richiede seri sforzi per dare priorità all' interesse generale. Dobbiamo riuscirci non solo per rispettare i nostri impegni con l' Europa, ma per porre su fondamenta più solide e sane lo sviluppo del nostro paese. Lo sviluppo, ripeto, dell' insieme del paese. La sua parte più dinamica e competitiva merita la massima attenzione per il ruolo trainante che svolge, ma neppure essa può crescere per proprio conto, con le sue sole forze. È indispensabile una visione unitaria e solidale: non si può fare a meno del grande potenziale rappresentato dal Mezzogiorno, occorre metterlo a frutto con politiche incisive e coraggiose. E per fortuna, l' Italia non è ferma. Ha già ripreso a crescere, col contributo determinante di imprenditori che hanno imboccato la strada dell' innovazione e del rischio del mercato globale; e insieme di tecnici e lavoratori qualificati e aperti al cambiamento, consapevoli che è il momento di premiare il merito. Bisogna incoraggiare gli uni e gli altri: guardando con particolare sensibilità a chi lavora in condizioni pesanti e per salari inadeguati, a cominciare dagli operai dell' industria. E non si può tollerare la minaccia e la frequenza degli infortuni cui è esposta la sicurezza, e addirittura la vita, di troppi occupati, specie di chi, italiano o immigrato, lavora in nero. L' occupazione è in aumento. Ma c' è da creare ancora lavoro per molti giovani e donne, specialmente nel Sud: lavoro alla luce del sole e pienamente riconosciuto nei suoi diritti. È questa una delle condizioni principali per realizzare una maggiore coesione sociale e civile, e in particolare per combattere fenomeni di disgregazione e criminalità nelle regioni più difficili.

Più coesione significa anche più equità, meno disparità nei redditi e nelle condizioni di vita, più vicinanza e sostegno per le persone e le famiglie che versano - e sono tante - in penose ristrettezze, e per quelle che sono provate da sofferenze di ogni natura. Più coesione significa inoltre uno sforzo maggiore per integrare nel sistema dei nostri principi e precetti costituzionali, senza discriminarli o tenerli ai margini, gli stranieri di cui l' Italia oggi ha certamente bisogno, e di cui è stato ed è giusto regolare l' ingresso legale nel nostro paese. Una società più giusta, libera e aperta può anche essere più sicura, attraverso il richiamo severo, che non deve mancare, al rispetto delle leggi, delle regole, dei doveri. È a questo impegno che presiedono con grande dedizione, negli ambiti di rispettiva competenza, le forze dell' ordine, e la magistratura, alla quale spetta anche contribuire a un più lineare e rapido corso della giustizia. Sono queste le basi da rafforzare per un nuovo sviluppo del nostro paese, che è possibile e non dipende solo da chi ha responsabilità di governo ma dall' iniziativa e dal contributo di molti. E ci dà fiducia la ricchezza delle risorse umane di cui disponiamo: risorse come quelle della scuola e della ricerca, ingegno creativo e produttivo, e insieme sensibilità e solidarietà diffuse, che si esprimono con forza crescente in tante forme, a cominciare dal volontariato, quello delle ragazze e dei ragazzi del Servizio civile che ho da poco incontrato, e quello dell' associazionismo laico e religioso. E alla vigilia dell' Anno europeo delle pari opportunità voglio sottolineare come in Italia tra le riserve preziose su cui contare ci sia quella, ancora così poco valorizzata, dei talenti e delle energie femminili.

Vedete, ho conosciuto e ascoltato un mese fa a Napoli due donne. La prima, madre di un ragazzo che si stava perdendo nelle trappole della malavita, ci ha raccontato come abbia combattuto per salvarlo, per recuperarlo alla scuola e come ci sia riuscita con l' aiuto della scuola. La seconda, una giovane che ha studiato con successo giungendo alla laurea e al dottorato, lavora ora a un progetto avanzato di ricerca genetica, per mille euro al mese - e si considera fortunata -, con un contratto che scade nel maggio prossimo, ma 'non ci penso - ha detto - perchè ho un lavoro bellissimò. Ecco, due casi così diversi: ma che ci dicono entrambi quale forza morale anima tante donne e può diventare fattore essenziale di progresso civile e di crescita dell' economia e della società. In particolare, gli incontri che ho ricordato mi hanno dato ancor più fiducia nell' avvenire di Napoli: è, come sapete, la mia città, ma penso sia cara a tutti gli italiani. Per raccogliere le energie di cui è ricca la società italiana, indirizzarne e soddisfarne responsabilmente le domande, contrastando particolarismi e chiusure egoistiche, la politica ha bisogno di istituzioni più riconosciute e più forti. Si trovi dunque l'intesa per riformarle, senza toccare il patrimonio dei grandi valori e indirizzi costituzionali. Si concordino con realismo e misura quelle riforme che possono rendere più chiaro e coerente il ruolo delle autonomie regionali e locali, più efficace nelle sue decisioni il Parlamento nazionale, supremo fondamento della democrazia repubblicana. E si ricerchi pazientemente l'accordo su meccanismi elettorali che rendano più lineare e sicura la formazione delle maggioranze chiamate a governare il paese.

Infine, la politica deve guardare non solo all' Italia d' oggi, ma al mondo e al suo futuro. Abbiamo costruito e consolidato la pace nel cuore dell' Europa, ma c'è ancora pace oltre i suoi confini. In questo momento tragici bagliori ci giungono ancora dall' Iraq. Sentiamo come minaccia comune le guerre che sconvolgono il Medio Oriente, che insieme con la fame e le malattie attraversano e flagellano l' Africa, da ultimo ancora una volta in Somalia, e che toccano ancora altre regioni. La comunità internazionale, e in particolare l' Europa e l' Italia, non possono assistere inerti a questi conflitti, o a rischio della proliferazione nucleare; sono tenute a fare la loro parte per promuovere pace, stabilità, disarmo, sviluppo, per sostenere ovunque la causa dei diritti umani. Perciò è giusto intensificare le iniziative di cooperazione internazionale e partecipare alle missioni delle Nazioni Unite e dell' Unione europea in aree di crisi, come quella da poco iniziata in Libano. Ed è importante farlo con la carica di professionalità e umanità che contraddistingue le nostre Forze Armate, alle quali anche questa sera esprimo la nostra riconoscenza.

Ci sono state decisioni, come quella sull' ultima missione, prese in Parlamento a larghissima maggioranza: ecco un esempio positivo di intesa tra opposte parti politiche. Il fenomeno delle crisi più gravi e delle guerre in diverse parti del mondo si intreccia col fenomeno del terrorismo internazionale, portando in sè il pericolo dei fanatismi, delle contrapposizioni radicali, degli scontri di civiltà. Non possiamo dimenticare quel che l' Italia ha pagato per il terrorismo di casa nostra, per quel delirio di violenza e per quelle vite stroncate, alla cui memoria dobbiamo ancora rendere omaggio. Ebbene, ci opponiamo con eguale fermezza al terrorismo di matrice fondamentalista che non conosce frontiere. Esso non rappresenta ma divide e minaccia innanzitutto lo stesso Islam. In quanto a noi, perseguiamo non lo scontro ma il dialogo tra le culture e tra le religioni. Nell' attuale, contraddittorio quadro mondiale un grande contributo positivo può venire dall' Europa.

È una convinzione, ed è un'aspettativa, che ho sentito esprimere dai Capi di Stato e dalle personalità rappresentative di numerosi paesi, di diversi continenti che ho incontrato in questi mesi. Occorre perciò superare resistenze e difficoltà che impediscono una più forte unità e azione europea. Lo diciamo sapendo che anche l'Italia conterà nel mondo che si trasforma sotto i nostri occhi solo se conterà di più l' Europa.


Su questi grandi temi - la pace, in Terra Santa innanzitutto, tra israeliani e palestinesi; il dialogo con altre civiltà e altre fedi, nella distinzione e nel reciproco rispetto; il ruolo dell' Europa - colgo una profonda sintonia con la Chiesa cattolica, con le sue espressioni di base, con le sue voci più alte. Ne ho tratto conferma dall' aperto e cordiale incontro del 20 novembre con Papa Benedetto XVI, al quale invio di qui il mio saluto beneaugurante. C'è sintonia nel sollecitare un più giusto ordine mondiale, un modello di sviluppo globale diverso e più sobrio, di fronte a un ormai inquietante degrado dell' ambiente, che minaccia la stessa sopravvivenza umana. Nel discorso indirizzatomi in occasione di quell' incontro il Pontefice ha voluto richiamare ripetutamente i principi e i valori affermati nella Costituzione italiana.

È mia convinzione che sia in effetti questo il riferimento essenziale per affrontare nel modo migliore anche i temi più delicati che oggi ci vengono proposti dagli sviluppi della scienza e dall'etica, da complesse situazioni sociali e da dolorosi casi umani come quelli che ci hanno di recente turbato e coinvolto. Alle scelte di cui si riconosca la necessità, il Parlamento può giungere nella sua autonomia attraverso un dialogo sulla vita e un confronto sulla realtà della famiglia che portino chiarezza ed evitino fratture. In conclusione, le questioni che si profilano in ogni campo all' inizio del nuovo anno richiedono un impegno di più pacata e costruttiva riflessione, un maggior senso del limite e della responsabilità. È così che potranno essere superate molte difficoltà, rispetto alle quali un paese come il nostro deve e può avere fiducia in se stesso. È un Paese nel quale antiche e profonde sono le radici della civiltà dell' Europa e dell' Occidente. È un Paese che può far leva tanto sulla sua storia quanto sul suo dinamismo, sulla sua capacità di rinnovarsi e migliorarsi.

È questo il saluto di Buon Anno che rivolgo dunque a voi tutti, alle vostre famiglie, e in modo particolarmente affettuoso - anche da nonno, se mi permettete - ai bambini che vi circondano. Ne incontro molti, al Quirinale e nelle città: e sono sempre una fonte fresca di gioia e di speranza. È pensando a loro che dobbiamo saper guardare lontano, saper guardare consapevolmente al futuro. Grazie, e ancora auguri!

Modificato da Slobodan 02/01/2007 12.46
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