Iskra, una questione dottrinale

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Dott.Zivago
00sabato 15 aprile 2006 22:40
Oggi parlavo con un amico e compagno di rifondazione- progetto comunista. Si discuteva di Bagnoli, della dismissione industriale e del lavoro in generale.
Più o meno lui ( e loro) sostiene la tesi secondo la quale è necessario reindustrializzare il paese- e su questo potremmo anche trovarci, anche se bisognerebbe vedere come e cosa vai a impiantare e produrre. Tuttavia lui obietta dicendo che non sarebbe importante questo, quanto la fabbrica in sè, che rappresenta, appunto, l'unico luogo di aggregazione operaia per portare avanti la lotta di classe.
Io obietto a mia volta dicendo che la fabbrica, semmai, è anzitutto un luogo di produzione. Che sia diventata poi luogo di protesta o di sviluppo di una coscienza operaia di classe, lo è diventata giocoforza, perchè evidentemente le condizioni di lavoro non erano soddisfacenti. Luogo di aggregazione, infine, lo era per destinazione naturale visto che ci si lavora in tanti.
Ma il fine primario di una fabbrica, e di chi la impianta, in un sistema capitalista, è stare sul mercato.
Allora può essere interessante in un ottica rivoluzionaria utilizzare gli strumenti forniti dal nemico- la fabbrica inq uesto caso, per sovvertire il sistema. Ma sappiamo che il capitalismo si è vaccinato contro i movimenti operai, con la precarietà e la delocalizzazione. Ipotizzare un ritorno al passato in chiave anticapitalista mi sembra davvero ingenuo.

E ancora mi sembrava un'argomentazione estremamente debole quella di attendere che un soggetto terzo- un imprenditore capitalista o uno Stato anch'esso capitalista- impianti una fabbrica per dare a dei comunisti la possibilità di portare avanti la lotta di classe. Voglio dire: forse non ho capito io (lui si spiega con molta foga, per cui a un certo punto diventa difficile seguirlo) ma mi sembra un'enorme ipoteca per la riuscita del loro "progetto comunista" la dipendenza da una struttura fisica esterna, specie se di proprietà di un imprenditore (pubblico o privato che sia). E soprattutto se di questa fabbrica lo scopo incidentale- consentire agli operai di riaggregarsi, portare avanti la lotta di classe e far saltare il capitalismo- possa superare quello primario: produrre reddito e profitti.

Mi sembra un discorso un pò fuori dalla realtà.
Già si può discutere di reindustrializzazione pubblica anche se- il discorso era limitato al meridione- dopo gli esperimenti delle cattedrali nel deserto e annessi disastri ambientali la vedevo molto difficile.
(per contro eravamo entrambi d'accordo che il turismo non sarà una risorsa per il sud per la cultura- egoistica quando non malavitosa di cui è portatore da queste parti mentre la fabbrica, e la cultura operaia ha in genere tenuto la malavita lontana.)

Il punto è che mi sembra una grave lacuna del "progetto" quella di dare per scontato la presenza della fabbrica, e quindi del lavoro operaio, e quindi far dipendere il raggiungimento del proprio fine- e la competitività sul mercato del lavoro- dal nemico capitalista (al quale , come ha dimostato, basta spostare in Cina o India i propri impianti per privare la lotta di classe dell'unica arma di cui dispone).

Io posso anche capire che dal loro punto di vista la fabbrica- e cmq le attività produttive- esistono essenzialmente come luoghi per portare avanti la lotta di classe. PErò non capisco come possano dimenticare che le fabbriche sono nate per iniziativa di imprenditori che attraverso lo sfruttamento del lavoro hanno fatto profitti. Su questo siamo d'accordo, ma non è certo il coltivare la lotta di classe il motivo per il quale si mettono su impianti produttivi. Mi sembra no abbiano preso atto della debolezza di questa idea che in realtà ha già perso sul piano globale a causa, appunto, di precarizzazione e delocalizzazione.

Forse non ho capito bene io, ma se l'idea di portare avanti il progetto comunista è questa mi sembra davvero fragile.
Alla mia fiducia verso i movimenti e le associazioni- in particolare quelle ambientaliste o dei consumatori, in cerca di un nuovo possibile modello di società- obiettava dicendo che sono cose da giardino per ricchi e che in America ne esistono da tempo senza che abbiano portato alcuna modificazione positiva alla società dei consumi.
In realtà le associazioni ambientaliste o dei consumatori americane non si propongono di cambiare il modello di consumo o la società dei consumi, ma semplicemente di non farsi fregare, fermo restando il pieno sostegno al modello capitalista/consumista.
Non esiste, invece, un movimento di larga diffusione che proponga una concezione alternativa di società, sostenibile e compatibile con la condizione sociale, lavorativa e ambientale in cui ci troviamo.

Insomma il limite più grande- e insormontabile- delle riletture moderne del comunismo mi sembra proprio questo: l'incapacità di uscire da una cultura industrialista che vede ancora nella fabbrica una fucina metafisica di soldati-operai pronti a portare avanti la lotta di classe, senza la quale ogni idea di società egualitaria sparisce. E con essa la lucidità, se arrivano ad ipotizzare imprenditori o lo Stato masochista che dovrebbe impiantare fabbriche fuori mercato non per fare profitti o assistenzialismo ma per covarsi una serpe in seno- cioè una forgia di pericolosi comunisti anticapitalisti.

Mi sembra onestamente assurdo: se questa è l'idea mi sa che piuttosto che ipotizzare improbabili reindustrializzazioni del paese dovrebbero andare a mobilitare la classe operaia lì ove le fabbriche ci sono ancora- Cina e India, piuttosto che sperare di vederne di nuove qui.
Modificato da Dott.Zivago 15/04/2006 22.54
ISKRA!
00domenica 16 aprile 2006 02:50
Guarda...
Non seguo la tendenza di Progetto Comunista, in nessuna delle due incarnazioni che essa ha preso all'interno di Rifondazione (una parte detta Ferrandiana rimane all'interno del PRC, una altra detta "Ricciana" invece effettuerà una miniscissione il 22 aprile).

Comunque cerco di risponderti scindendo in parti il tuo ragionamento.

1) Da un punto di vista esclusivamente "operaista" il comparto produttivo secondario rappresenta la porzione centrale di interesse di una organizzazione comunista, in virtù del ruolo che questi ricopre, ovvero di "mezzo di produzione" classico; in virtù della concentrazione di manodopera all'interno di un luogo fisico, in virtù della alienazione che ivi si produce. Tutto questo rende ragione della teorizzata centralità operaia. A mio giudizio le valutazioni qui espresse sono valide ancora, ma in casi semprè più limitati, mentre diviene necessario formulare una nuova espressione per identificare il "soggetto della trasformazione" cbe soddisfi le modifiche occorse nei meccanismi di produzione.

2) Il fatto che la fabbrica sia un luogo centrale per le lotte dei lavoratori è un postulato derivante dal suo ruolo stesso di mezzo di produzione, inteso in ottica marxista. La delocalizzazione non depotenzia il ruolo della fabbrica, ma semplicemente "allontana" la fabbrica, spostandola in altro luogo fisico. In ogni caso è vero che la terziarizzazione dell'economia è un fattore che diminuisce la sindacalizzazione, per motivi che sarebbe troppo lungo spiegare adesso.

3) Il cuore di una battaglia comunista, per comodità definito solo in ambito economico, non è accrescere il peso del settore industriale, ma modificare il "modo di produzione capitalista". L'approccio di progetto comunista è un po' anacronistico, dovuto ad un procedimento inverso a quello comunemente utilizzato. Invece di partire dalla realtà per effettuarne un'analisi, partono dall'analisi ed attedono che la realtà si assoggetti ad essa.

4) Infine i compagni di progetto, per i motivi elencati sopra, sono contrari agli approcci "altermondialisti" o movimentisti, perchè non caratterizzati dal concetto di centralità operaia, e quindi bollati come borghesi. Inutile dire che non condivido la loro posizione, pur comprendendo come il movimento altermondialista sia piuttosto articolato, e sicuramente portatore di istanze non omogeneamente definibili parenti del marxismo.

5) I compagni di Progetto non mi sembrano portatori di una rilettura molto moderna dei concetti Marxisti... direi tutt'altro... Magari appena trovo qualche articolo interessante di qualche Marxiano moderno ti posto il link.

Hasta Siempre...
ISKRA!
00domenica 16 aprile 2006 03:02
Intervista su Althusser:
In Grassetto ci sono le domande, le sottolineature sono mie, perchè riguardano, almeno in parte, quello che ho detto prima sulle forzature del ragionamento del tuo compagno di progetto comunista.





Una pillola di marxismo contro tutti i fondamentalismi

Parla Maria Turchetto: "Ogni teoria deve assumere l’aleatorietà storica, perché non può pretendere di spiegare tutto il reale attraverso le proprie formule"

“Sono il capo spirituale dei materialisti”. Al telefono Maria Turchetto, filosofa (o meglio “filosofa pentita” come preferisce definirsi) esperta di Louis Althusser, con studi alla Normale di Pisa e un insegnamento di Storia del pensiero economico a Venezia, ride. Conferma di essere la direttrice dell’“Ateo”, il periodico dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, ma non nasconde la lunga collaborazione con il Vernacoliere. “Ho raccolto – aggiunge con voce squillante e un accento veneto spiccato – alcuni articoli in un librino”. Il titolo è tutto un programma: Carognate, cazzate e consigli (Edizioni Spartaco, pp. 167, Ä12). Recensioni, piccoli pamphlet ad uso di lettori digiuni di filosofia ma abituati a tirate ironiche e spiazzamenti iconoclasti. Gli obiettivi: i soloni della filosofia italiana, da Salvatore Veca a Emanuele Severino. Senza trascurare Vasco Rossi, Oriana Fallaci e i consigli “di una vecchiaccia cattiva alle brave ragazze” – rovesciamento ironico di un antico slogan del movimento femminista. Firmato: il Turco. Senza contare che Maria Turchetto ha anche un sito internet personale http://www.ilturco.org/ , pieno di gatti e di testi, seri semiseri e altro ancora. Con frecciate filosofiche a papa Ratzinger e al cardinal Ruini.
“Il mio è un percorso filosofico un po’ tortuoso – racconta -Sono partita da studi economici. Ho avuto come maestro Gianfranco La Grassa e ho incontrato da subito Marx nella lettura che ne dava il filosofo francese Louis Althusser. Mi sono esercitata sul Capitale sin dall’inizio. Ho avuto poi una parentesi filosofica che per altro mi è stata molto utile perché ho conosciuto così anche il Marx dei filosofi. Ho così iniziato a studiare i rapporti tra Marx e la scuola storica tedesca, Weber, il Methodenstreit - il vasto dibattito sul metodo delle scienze sociali apertosi con la crisi dell'economia politica classica. Studiando questo periodo mi sono messa sulle tracce del neo-kantismo che ha alimentato una cultura delle scienze sociali molto interessante. Collocare Marx in questo contesto è stato molto stimolante, perché è un contesto molto diverso rispetto a quello hegeliano cui Marx viene tradizionalmente ricondotto. In questo senso si relativizza la vecchia idea che Marx sia la summa della scuola classica dell’economia inglese e delle filosofia classica tedesca. Marx si andava così ricollocando in un contesto moderno, molto più vicino alle tematiche filosofiche novecentesche. E il Marx che risultava da questo confronto era un Marx molto simile a quello di Althusser”.
Dal 1995 Maria Turchetto segue le attività dell’"Associazione Louis Althusser" ( http://www.althusser.it ) che organizza cicli di lezioni e conferenze, redige un bollettino e ha una collana di nuove traduzioni del filosofo francese con la casa editrice Mimesis, con la quale ad ottobre 2006 uscirà la nuova traduzione dei seminari che compongono Leggere il Capitale. “Ho sempre creduto – afferma Turchetto – che prima o poi ci sarebbe stata una Marx-renaissance. Marx è un autore troppo importante per la lettura della società contemporanea per potere essere messo tra parentesi troppo a lungo. Oggi possiamo dire che un rinascimento marxiano sia stato avviato anche grazie all’edizione critica delle opere sulla quale sta lavorando la Internazionale Marx-Engels-Stiftung che pubblica la Marx-Engels-Gesamtausgabe”.
-Il vostro lavoro su Althusser si inserisce in questa Marx-renaissance?
Sono pienamente convinta che la riscoperta di Marx passi oggi anche attraverso Althusser, perché la lettura althusseriana ci consegna un Marx non solo liberato dall’interpretazione ortodossa ma decisamente all’altezza dei tempi. L’operazione di Althusser, d’altra parte, non è indolore: fa violenza allo stesso Marx in quanto gioca una parte di Marx contro lo stesso Marx.
In che senso?
Althusser è stato uno dei primissimi marxisti a ripulire la logica del capitale dai residui di hegelismo. Si trattava di cogliere le effettive scelte epistemologiche di Marx “nascoste” in un linguaggio ancora hegeliano: ad esempio l’idea di “tutto strutturato a dominante” - un concetto vicino a quello di “sistema”, nel senso in cui lo usano i biologi - dietro il termine “totalità”. In secondo luogo Althusser inizia a pensare un Marx non teleologico, contro quella tradizione del marxismo ortodosso che leggeva nella successione dei modi di produzione un percorso necessario verso il comunismo. Althusser rompe anche con il soggettivismo, altra faccia di quella tradizione che considerava la storia - la stessa storia dello sviluppo del modo di produzione capitalistico - come il prodotto della volontà di un soggetto come la classe operaia. Althusser sosteneva invece che il capitalismo era in realtà il prodotto di un processo senza soggetto, in altre parole della dinamica dei rapporti di classe.
Che cosa intende quando parla di tradizione del marxismo ortodosso?
Fondamentalmente, il marxismo della Terza Internazionale. La sua idea portante era la cosiddetta dialettica tra forze produttive e rapporti di produzione. Le forze produttive spingono i rapporti di produzione, sono quindi il motore della storia. Althusser rovescia quest'idea, mettendo al centro i rapporti di produzione. Si trattava in primo luogo di recuperare la nozione, dal momento che il marxismo terzinternazionalista riduceva i rapporti di produzione al mercato e alla proprietà privata. Althusser ci è servito per scoprire un’altra lettura dei rapporti di produzione, per intenderli come modalità specifiche della produzione, divisione in ruoli dominanti e subordinati nell'ambito specifico della produzione. Risultava così evidente che le forze produttive - la tecnica, se vogliamo - cui la tradizione ortodossa affidava le magnifiche sorti e progressive dell’umanità, non sono affatto neutrali, ma sono plasmate dai rapporti di produzione e li riproducono. Ne derivava, tra l’altro, un’inedita possibilità di critica del cosiddetto “socialismo reale”, ben più potente delle formule del culto della personalità o del socialismo burocratizzato con cui allora veniva affrontato il problema dello stalinismo. Penso ai lavori di Charles Bettelheim in Francia - nella collana “Althusseriana” della Mimesis abbiamo recentemente riproposto, di questo autore, Calcolo economico e forme di proprietà, interessante proprio perché mostra la costruzione in atto di un armamentario critico a partire dal concetto di rapporti di produzione. Penso ai lavori che in Italia, in quegli anni, ho proposto insieme a Gianfranco La Grassa.
In che modo allora la nuova riedizione delle opere completa questa critica impostata ormai da decenni?

Ci aiuta ad usare Marx oltre i suoi limiti. A scindere finalmente la coppia di gemelli siamesi costituita da Marx ed Engels così come la tradizione ortodossa ce l’ha tramandata. Da questo punto di vista trovo una singolare convergenza tra la lettura di Althusser, quella che a suo tempo ho condotto con Gianfranco La Grassa, e l’operazione filologica della nuova Mega, da cui emerge un Marx non interpolato da Engels che risulta notevolmente diverso da quello che abbiamo letto finora. La lettura di Althusser ha anticipato questa novità. Oggi si tratta di approfondirla. Come ho detto, Althusser non si limita a cercare il “Marx autentico” al di sotto delle interpolazioni, è molto più radicale e gioca una parte di Marx contro lo stesso Marx. Ma Michel Foucault ci ha insegnato che tutte le unità culturali possono essere rimesse in discussione, persino quell’unità che appare così scontata ed empirica che è l’autore. Credo che sia un’operazione legittima, anche perché non penso che questo ritorno a Marx sia finalizzato ad ottenere un Marx puro, ma un Marx all’altezza della lettura della società attuale.

Qual è l’attualità politica e culturale di questa lettura?

In passato l’obiettivo polemico era l’Accademia delle scienze sovietiche, l’ortodossia che aveva congelato tutti i marxismi europei, nonostante le critiche di tipo filosofico, nonostante lo storicismo e il gramscismo. Tentativi che non hanno purtroppo prodotto una visione diversa del marxismo. Oggi è importante riprendere le fila di questo discorso in positivo, con l'obbiettivo di comprendere la società contemporanea. Gli strumenti concettuali di Marx sono importanti, perché non credo che con categorie generiche come Occidente o Tecnica - scritte con la maiuscola, come usano i filosofi - si vada molto in là. Preferisco confrontarmi con il capitalismo con le categorie di modo di produzione, rapporti di produzione.

E’ stato detto che il crollo del socialismo reale ha causato il crollo di un’intera teoria marxiana. A suo parere esiste oggi uno spazio per riprendere questa teoria?

Sicuramente questo è successo. Proprio perché non si erano fatti i conti con quella realtà sociale che noi iniziammo a criticare. E tantomeno questo è accaduto dopo l’89, quando c’è stata una vera e propria rimozione del problema e diventava tabù mettere alla prova le categorie marxiane per interpretare la vicenda storica che ha portato al fallimento del socialismo. Io credo invece che anche oggi la nozione di rapporti di produzione possa dare almeno in parte conto del crollo di questo sistema sociale. Credo che oggi ci sia tutto lo spazio per rilanciare anche una politica a partire da Marx. Ma occorre estrapolare dalla sua opera tutto ciò che esula da una visione teleologica e confrontarsi con la contingenza politica sapendo che non è possibile prevedere un esito positivo, rinunciando a pensare che la storia lavora per noi.

Affidandosi alla contingenza politica, come suggerisce la tesi del materialismo aleatorio di Althusser, non significa rinunciare a qualsiasi prospettiva strategica?
La tesi del materialismo aleatorio dell'ultimo Althusser non significa affatto che si debba andare a casaccio. Significa pensare in modo diverso quello che negli anni Settanta si definiva il problema della transizione da un modo di produzione all'altro. Non ci sono “leggi della storia” - come l’inesorabile sviluppo delle forze produttive cui si affidava il marxismo terzinternazionalista - che ci traghettano automaticamente da un modo di produzione all'altro. Non ci sono soggetti storici predefiniti - come la classe operaia - che si incaricheranno di guidare la trasformazione. E naturalmente non c'è un esito scontato. Il capitalismo non è il risultato di una univoca e prevedibile legge di trasformazione della società feudale. E' il prodotto dell’“incontro” di molti processi diversi, dell’emergere di nuovi soggetti, della concomitanza di varie circostanze: elementi diversi che ad un certo punto hanno “fatto presa” dando luogo a una struttura di rapporti sociali capace di autoriprodursi. Un progetto politico di trasformazione deve fare i conti con una doppia difficoltà: da un lato, l’inerzia della riproduzione capitalistica, difficile da spezzare; dall'altro, la mancanza di garanzie circa l’effettiva “presa” di nuovi rapporti. Ma questo non vuol dire che la conclusione di Althusser sia scettica rispetto alla politica. Credo invece che sia necessario oggi relativizzare la pretesa della teoria di fornire spiegazioni totalizzanti e onnicomprensive della società e della storia. Il marxismo ortodosso è solo una delle esemplificazioni, ma pensi a teorie come lo scontro delle civiltà che mirano all’essenzializzazione di categorie come Occidente o Islam per spiegare la conflittualità interna o a quelle che condannano la modernità perché sarebbe un’epoca dominata dalla Tecnica che sottomette la vita al proprio progetto. Ogni teoria deve assumere l’aleatorietà storica, perché non può pretendere di spiegare tutto il reale attraverso le proprie formule.



Spero che ti possa interessare... Magari ti mando qualche altro link... se questo ti è piaciuto!

Hasta Siempre... [SM=x584453] [SM=x584454]
Dott.Zivago
00domenica 16 aprile 2006 12:06
si molto! Il determinismo, specie quello marxista, non mi ha mai troppo convinto- alla luce soprattutto dell'inesistenza di un determinismo "naturale" (esiste, invece, una sorta di "determinismo religioso" che è ciò che prob. fa assomigliare il Marxismo ad una religione, ed è ovviamente la parte che io rigetto) visto che sia la storia che gli accadimenti naturali, incluse ad es. le malattie, dipendono da un insieme di concause non sempre determinabili e che si comportano in misura diversa a seconda del soggetto con cui interagiscono. PErtanto non ritengo assolutamente velleitario liberare Marx da un pò di deteminismo, anche perchè dal suo punto di vista difendere il concetto di "leggi della storia" mi sembra più una campagna psicologica condotta per farsi coraggio e dare forza alle proprie affermazioni piuttosto che una reale necessità filosofica.
Gran parte della teoria marxista- specie quelle teorizzazioni economiche- funzionano bene anche senza determinismo e senza "leggi della storia".
Cosa che mi sembra i compagni di PC non fanno affatto (si scindono il 22? E in cosa? Un nuovo partito? grandissimi!)

Si, posta pure alri link: ThanX
Dott.Zivago
00domenica 16 aprile 2006 12:45
ultime osservazioni sparse prima di partecipare al laico pranzo pasquale:

1) mi sembra che i compagni di PC, (e in generale chi segue un'interpretazione ecessivamente operaista del marxismo) non tengano conto di alcuni punti fondamentali:

- provo a forzare Marx, ma la sua definizione di proletariato- chi non è proprietario dei mezzi di produzione, e che è ancora oggi valida- coincide solo incidentalmente con la classe operaia. All'epoca di Marx, proletariato e classe operaia/contadina coincidevano in quella società semplificata; oggi si assiste invece alla proletarizazzione della società, per cui si può essere proletari anche essendo nominalmente impiegati o terziarizzati. Si può essere proletari anche possedendo qualcosa: dal piccolo immobile, magari col mutuo, financo alla bottega artigiana. Forse il discrimine acora oggi valido resta lo sfruttamento del lavoro altrui.
Credo che cmq il concetto di proletario non posa prescindere, oggi, dal potere d'acquisto del proprio reddito (e non necessariamente salario, attenzione).
Una lettura che Marx ha bypassato perchè all'epoca inutile: un piccolo proprietario di immobile o un impiegato, in quella soietà rigidamente divisa per classi che definivano anche il potere d'acquisto del proprio reddito, non poteva essere assimilato al proletario.
Cosa che oggi invece non è

- I compagni di PC mi sembra non tengano conto del sostanziale fallimento, specie in Italia, del tentativo di diffondere una coscienza di classe operaia. Che infatti non si è mai diffusa. C'è, e non a caso, molta più appartenenza ed orgoglio di classe in paesi più capitalisti del nostro come la Germania o l'Inghilterra- che ha anche il suo cantore cinematografico, Ken Loach, che non in Italia.
Continuando ad insistere su questo tasto si rischia solo il settarismo, e mi pare siano già sulla buona strada, se meditano addirittura una scissione.

- Non tenere conto dei movimenti è un errore clamoroso, perchè qeusti sono l'espressione di un disagio che prende la forma consntita dal sistema vigente nel singolo paese; ma spesso le istanze sono similari (non tutte marxixte, ok, ma molte sono cmq riconducibili); soprattutto i movimenti sono uno dei pochi punti di contatto con l'internazionalizzazione degli eventi. Sono d'accordo che la fabbrica e ciò che ne consegue può rimanere centrale per un certo tipo di lotta, ma non si può presicndere dal fatto che sia stata fisicamente spostata per motivi ninte affatto secondari- da cui suggerivo che se il fine è la lotta operaia, bisognerebbe che si spostassero lì dovela lotta può esserci: Cina, India, Romania, piuttosto che teorizzare una reindustrializzaione dell'Italia per riprodurre qui una classe operaia e condurre una "lotta da allevamento".
Modificato da Dott.Zivago 16/04/2006 12.52
ISKRA!
00domenica 16 aprile 2006 12:50
Progetti Comunisti...

Scritto da: Dott.Zivago 16/04/2006 12.06
Cosa che mi sembra i compagni di PC non fanno affatto (si scindono il 22? E in cosa? Un nuovo partito? grandissimi!)



Praticamente si sono divisi in due parti:

La prima, con a capo Ferrando (remember Ferrando?) e Grisolia si chiama "Associazione Marxista Rivoluzionaria,PROGETTO COMUNISTA, sinistra del Partito della Rifondazione Comunista"

simbolo
sito www.progettocomunista.it
questi non si scindono, almeno non per adesso.

L'altra è nata in febbraio e si chiama "Progetto Comunista - Rifondare l’Opposizione dei Lavoratori" ha come leader (primus inter pares) Francesco Ricci, al secondo posto Antonino Marceca.

nuovo il simbolo
ed il sito www.progettocomunista.org
Questo gruppo, dalle velleità chiaramente avanguardiste, ha deciso di effettuare una scissione dal PRC, con fondazione del nuovo partito il 22 aprile. In ogni caso la scissione è già stata annunciata il 14 a Roma.

Qui trovi il loro volantino in PDF: VOLANTINO


I tuoi amici di che parte sono? [SM=x584435]
Dott.Zivago
00domenica 16 aprile 2006 12:56
So che appartengono nettamente alla seconda, infatti erano anche critici nei onfronti di Ferrando: i primi mi pare di capire sono trotskisti; loro no.


Modificato da Dott.Zivago 16/04/2006 12.59
ISKRA!
00domenica 16 aprile 2006 12:58
Re:

Scritto da: Dott.Zivago 16/04/2006 12.56
appartengono nettamente alla seconda.



ehehehe...

Allora auguragli buona fortuna... Ho saputo che si autotasseranno... Porelli... rischiano di trovarsi tra due anni con un governo delle larghe intese, con il PRC all'opposizione e loro messi fuori gioco definitivamente... [SM=x584430]

Comunque... Dopo il PMLI avremo anche il PCROL...

[SM=x584435]
Dott.Zivago
00domenica 16 aprile 2006 13:02
se è per questo c'è anche il www.pciml.org di Domenico Savio che ha totalizzato oltre 26mila voti [SM=x584424]
ISKRA!
00domenica 16 aprile 2006 13:10
Re:

Scritto da: Dott.Zivago 16/04/2006 12.56
i primi mi pare di capire sono trotskisti; loro no.



Bè... Secondo Me TRosky avrebbe da ridire su molti trockisti... ehehehe...

Comunque la differenza è piuttosto che Ferrando è, a mio giudizio, un po' più furbo nella scelta dei tempi, e si accorge che questo, dopo un'affermazione così risicata, con una vis della nemesi Berlusconiana così forte ancora, con il rischio di un governissimo che estrometta la sinistra radicale, una scissione "a sinistra" di rifondazione è sostanzialmente priva di spazio politico da sfruttare per il radicamento, il tesseramento, l'intreccio di relazioni con i sindacati, e per gli scopi elettorali.

I Ricciani, ovviamente, hanno invece fiducia nel fatto che la storia si muoverà a loro vantaggio... [SM=x584455]

Buon Pranzo... In occasione di questo primo plenilunio di Primavera! [SM=x584435]
=cireno=
00domenica 16 aprile 2006 13:51
Un'idea vecchia come Noè
Trotsckisti? Ma, mi sembra che ognuno si senta in diritto di mettersi l'etichetta che più gli piace.
Ma, anche se mi sto preparando per andare a fare un giro con la moglie che brontola, vorrei dare una risposta veloce, salvo poi ampliarla stasera al ritorno a casa, a quanto scritto da Zivago nel primo post, quello che a un certo punto recita "Più o meno lui ( e loro) sostiene la tesi secondo la quale è necessario reindustrializzare il paese- e su questo potremmo anche trovarci, anche se bisognerebbe vedere come e cosa vai a impiantare e produrre. Tuttavia lui obietta dicendo che non sarebbe importante questo, quanto la fabbrica in sè, che rappresenta, appunto, l'unico luogo di aggregazione operaia per portare avanti la lotta di classe" , per obiettare che questa tesi, vecchia quanto mio nonno, della fabbrica luogo di aggregazione della classe proletaria nel quale si arriva anche a concertare le strategie per la lotta di classe, è oggi assolutamente priva di fondamento e di logica. Perchè oggi la "fabbrica" non è più quel luogo di incontro e di aggregazione proletaria per almeno due ragioni sostanziali: che la manodopera impiegata è rarefatta in spazi grandi e che il capitale può spostare la fabbrica dove vuole, o meglio dove gli conviene, sia economicamente che politicamente. Questa idea di quei compagni di RC è quindi solo la dimostrazione che non è quella la strada da seguire per far rendere conto alla classe sottoposta, e dal disoccupato al piccolo borghese, TUTTI siamo classe sottoposta, che ci sono degli interessi propri alla classe che non possono essere traditi e/o dimenticati quando si va a fare una croce sulla scheda elettorale.
Dott.Zivago
00domenica 16 aprile 2006 14:05
Re: Un'idea vecchia come Noè

Scritto da: =cireno= 16/04/2006 13.51
Trotsckisti? Ma, mi sembra che ognuno si senta in diritto di mettersi l'etichetta che più gli piace.
Ma, anche se mi sto preparando per andare a fare un giro con la moglie che brontola, vorrei dare una risposta veloce, salvo poi ampliarla stasera al ritorno a casa, a quanto scritto da Zivago nel primo post, quello che a un certo punto recita "Più o meno lui ( e loro) sostiene la tesi secondo la quale è necessario reindustrializzare il paese- e su questo potremmo anche trovarci, anche se bisognerebbe vedere come e cosa vai a impiantare e produrre. Tuttavia lui obietta dicendo che non sarebbe importante questo, quanto la fabbrica in sè, che rappresenta, appunto, l'unico luogo di aggregazione operaia per portare avanti la lotta di classe" , per obiettare che questa tesi, vecchia quanto mio nonno, della fabbrica luogo di aggregazione della classe proletaria nel quale si arriva anche a concertare le strategie per la lotta di classe, è oggi assolutamente priva di fondamento e di logica. Perchè oggi la "fabbrica" non è più quel luogo di incontro e di aggregazione proletaria per almeno due ragioni sostanziali: che la manodopera impiegata è rarefatta in spazi grandi e che il capitale può spostare la fabbrica dove vuole, o meglio dove gli conviene, sia economicamente che politicamente. Questa idea di quei compagni di RC è quindi solo la dimostrazione che non è quella la strada da seguire per far rendere conto alla classe sottoposta, e dal disoccupato al piccolo borghese, TUTTI siamo classe sottoposta, che ci sono degli interessi propri alla classe che non possono essere traditi e/o dimenticati quando si va a fare una croce sulla scheda elettorale.



Su questo sono completamente d'accordo (anche se più che dire "Non più" la fabbrica io sarei per il "non solo" la fabbrica); infatti era il punto centrale della discussione. Che però non risolve il problema, perchè la disgregazione della base, e delle forme di protesta, che secondo me non è strategica e neanche pienamente voluta ma è un sottoprodotto- se vogliamo- del sistema capitalista rende difficile non solo la rivendicazione ma anche il costituirsi di un'alternativa credibile; per questo io credo sia nei movimenti che nelle forme di aggregazione alternative- internet inclusa.
Modificato da Dott.Zivago 16/04/2006 14.08
Slobodan
00domenica 16 aprile 2006 15:03
calcolando che sarebbe un Festivo,e di quelli tosti,non posso che dirvi bravi!!!
scusate se mi intrometto...il mio contributo è al momento nullo,annebbiato da barolo e courvoisier...
ma faccio in tempo a dire una cosa.SIETE VECCHI [SM=x584429]

il 10aprile ci ha consegnato un'Italia che non vi segue...non ci ha mai seguito del resto,su sto campo.
Forza Agnello, tutto il resto è noia.
purtroppo.
Slobodan
00domenica 16 aprile 2006 15:20
Il limite di questa discussione, come quello di tante altre precedenti,è che i protagonisti non hanno mai fatto un giorno di lavoro in fabbrica.
nè qui sul paura,nè fra i terzi citati.
Bla bla bla piuttosto sterili, quindi.
fortunatamente per voi,sfortunatamente per l'operaismo.oggi come ieri.
Slobodan
00domenica 16 aprile 2006 15:23
Re: Progetti Comunisti...

Scritto da: ISKRA! 16/04/200612.50








cazzo ,la Opel? [SM=x584432]
Slobodan
00domenica 16 aprile 2006 15:24
Re: Re:

Scritto da: ISKRA! 16/04/2006 13.10


Bè... Secondo Me TRosky avrebbe da ridire su molti trockisti... ehehehe...




non ci sono dubbi. [SM=x584435]
Peppino Gavoni
00domenica 16 aprile 2006 15:30
Re:

Scritto da: Slobodan 16/04/2006 15.20
Il limite di questa discussione, come quello di tante altre precedenti,è che i protagonisti non hanno mai fatto un giorno di lavoro in fabbrica.
nè qui sul paura,nè fra i terzi citati.
Bla bla bla piuttosto sterili, quindi.
fortunatamente per voi,sfortunatamente per l'operaismo.oggi come ieri.


Io a dir la verità in fabbrica ci ho lavorato, sia in Italia che in Olanda [SM=x584498]
Il limite di questa discussione secondo me è il limite stesso del comunismo (ovvero di un anticapitalismo che è un po' come l'ateismo: afferma negando, o nega affermando). Che dà per scontato che la struttura sia l'economia e cerca di metterci una pezza, mentre il problema è tutto là, non bisogna rappezzare, ma riconsiderare e cambiare completamente la struttura. Ma non chiedetemi come [SM=x584447]
Slobodan
00domenica 16 aprile 2006 15:34
Re: Re:

Scritto da: Peppino Gavoni 16/04/2006 15.30

Io a dir la verità in fabbrica ci ho lavorato, sia in Italia che in Olanda [SM=x584498]



ok,ma mi risulta che fino a questo post tu non fossi intervenuto!!!
Dott.Zivago
00domenica 16 aprile 2006 15:40
Re:

Scritto da: Slobodan 16/04/2006 15.20
Il limite di questa discussione, come quello di tante altre precedenti,è che i protagonisti non hanno mai fatto un giorno di lavoro in fabbrica.
nè qui sul paura,nè fra i terzi citati.
Bla bla bla piuttosto sterili, quindi.
fortunatamente per voi,sfortunatamente per l'operaismo.oggi come ieri.




Di troppo qualunquismo non si muore ma si rischiano grosse figure di merda [SM=x584461]

L'amico di cui parlo è operaio all'Ansaldo; sta in linea continua e monta i treni, da almeno 3 anni. Turni compresi.

Io in fabbrica non ci ho mai lavorato ma "mi sono fatto" 3 anni di call center in Olanda. Turni compresi anche lì.

(in compenso d'estate per arrotondare lavoravo in un cantiere edile, abusivo ovviamente: vuoi che insegni a usare la "cucchiara americana"? [SM=x584431] )

Invece di fere il saputello pensa a quello che mi devi mandare

Dott.Zivago
00domenica 16 aprile 2006 15:42
Re: Re:

Scritto da: Peppino Gavoni 16/04/2006 15.30
non bisogna rappezzare, ma riconsiderare e cambiare completamente la struttura. Ma non chiedetemi come [SM=x584447]



Difficile darti torto. [SM=x584458]
Ma questo non è un lavoro da acquari
Slobodan
00domenica 16 aprile 2006 15:44
Re: Re:

Scritto da: Dott.Zivago 16/04/2006 15.40





L'amico di cui parlo è operaio all'Ansaldo; sta in linea continua e monta i treni, da almeno 3 anni. Turni compresi.

Io in fabbrica non ci ho mai lavorato ma "mi sono fatto" 3 anni di call center in Olanda. Turni compresi anche lì.






[SM=x584493]


Io non faccio il saputello, ANZI!
so cosa vuol dire "faticare".


p.s.:cazzo carlo, è PASQUA. mica tutti han tempo da perdere... [SM=x584433]
sii paziente!
Peppino Gavoni
00domenica 16 aprile 2006 15:49
Re: Re: Re:

Ma questo non è un lavoro da acquari


Da draghi sì però [SM=x584435]
Slobodan
00domenica 16 aprile 2006 15:51
rispondimi e ti dir chi sei

Scritto da: Dott.Zivago 16/04/200615.40





(in compenso d'estate per arrotondare lavoravo in un cantiere edile, abusivo ovviamente: vuoi che insegni a usare la "cucchiara americana"? [SM=x584431] )






e lo "squadro" tondo, lo sai usare? [SM=x584435]
Dott.Zivago
00domenica 16 aprile 2006 15:52
Re: Re: Re:

Scritto da: Slobodan 16/04/2006 15.44
mica tutti han tempo da perdere... [SM=x584433]
sii paziente!



Mi fa piacere vedere in che considerazione tieni quello che ti ho affidato [SM=x584472]
Slobodan
00domenica 16 aprile 2006 15:53
Re: Re: Re: Re:

Scritto da: Dott.Zivago 16/04/2006 15.52


Mi fa piacere vedere in che considerazione tieni quello che ti ho affidato [SM=x584472]



ma no, è che oggi l'agnello è prioritario!!!
anche a sinistra [SM=x584429]
ISKRA!
00domenica 16 aprile 2006 15:55
Re: Re:

Scritto da: Peppino Gavoni 16/04/2006 15.30
non bisogna rappezzare, ma riconsiderare e cambiare completamente la struttura. Ma non chiedetemi come [SM=x584447]



"il comunismo è il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente" K.M.


[SM=x584435]
Peppino Gavoni
00domenica 16 aprile 2006 16:19
Re: Re: Re:

Scritto da: ISKRA! 16/04/2006 15.55


"il comunismo è il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente" K.M.


[SM=x584435]


Alla faccia dell'anti.

E con che cosa lo sostituisce? [SM=x584454]
Peppino Gavoni
00domenica 16 aprile 2006 16:26

Scritto da: ISKRA! 16/04/2006 15.55


"il comunismo è il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente" K.M.


[SM=x584435]



The beautiful people, the beautiful people...
it's all relative to the size of your steeple
capitalism has made it this way,
old-fashioned fascism will TAKE IT AWAY!


(M.M.)

[SM=x584434] [SM=x584425]
ISKRA!
00domenica 16 aprile 2006 17:39
Re: Re: Re: Re:

Scritto da: Peppino Gavoni 16/04/2006 16.19
E con che cosa lo sostituisce? [SM=x584454]



Bè... quello dipende dal tipo di comunismo che vuoi costruire...
Ce ne sarebbero un bel po' di proposte teoriche.
Da quelle strettamente economiciste, a quelle federaliste, a quelle della parecon etc.

La mia citazione era una risposta alla tua accusa di voler "mettere una pezza". In realtà modificare i rapporti di produzione è l'equivalente della profonda alterazione della società, non di una correzione.

Poi, ammetto che il compito non sia proprio "facilissimo"... [SM=x584426]

Slobodan
00domenica 16 aprile 2006 18:42
in soccorso a carlo...
Il Militante diventa Volontario

Che fine ha fatto l’ "eroe comunista"

Simonetta Fiori

Mai requisitoria fu più impietosa. Il "militante comunista" come cifra del XX secolo, incarnazione estrema del suo attivismo e delle sue contraddizioni laceranti. Non più homo ideologicus, ma homo faber spinto dal delirio costruttivista del tempo nuovo. Un po’ ribelle e un po’ poliziotto, diviso tra Piazza e Caserma, a metà strada tra eroe e aguzzino. Voleva edificare un mondo più giusto e ne è stato completamente divorato, con esiti sideralmente lontani dal progetto originario. Figura doppia e tragica, oscilla continuamente tra "generosità storica e ferocia burocratica", tra "aspirazioni libertarie e spirito gregario", tra "emancipazione collettiva e umiliazione dell’individualità". Nato sulle ceneri della Grande Guerra, esaltato dall’Ottobre rosso, vissuto sotto i fascismi europei, il "soldato della rivoluzione" si nutre di violenza, la stessa che è il tratto genetico del Secolo Breve. E, insieme al Novecento, è condannato a inesorabile tramonto.
Pur vantando antecedenti letterari illustri — Koestler il più citato — il disperante ritratto del "comunista idealtipico" rivive di nuova originalità nell’ultimo e provocatorio saggio di Marco Revelli, intellettuale indiscutibilmente di sinistra, amato dal leader di Rifondazione comunista, studioso acuto delle trasformazioni sociali ed economiche dell’età contemporanea (Oltre il Novecento. La politica, le ideologie e le insidie del lavoro, Einaudi: da domani in libreria). All’autore non sfugge la carica dirompente delle sue tesi, che sicuramente susciteranno discussione tra i suoi amici. «È un messaggio che ho voluto lanciare alla sinistra. Il Novecento ci consegna un secolo devastato dalla furia costruttivista dell’homo faber, anche nella sua variante politica rappresentata dal militante comunista. L’ordine che ne è scaturito è molto distante da quell’utopia. Se ora vogliamo salvarci dall’orrore economico d’un mondo governato dal profitto, dobbiamo andare al di là del Novecento e delle sue lacerazioni. Trovo sbagliato e fin troppo facile cercare nel passato solo rassicurazioni; più doloroso scavare tra le pieghe dei nostri errori».
Lo studioso raccoglie la sfida di un’opera («pur criticabile nell’impostazione») come il Livre noir du communisme e va a scoperchiare lo "scandalo del comunismo novecentesco", il primo dei suoi peccati capitali, che consiste nella «normalità dell’azione repressiva», quel repertorio di carcere, deportazione, tortura, delazione, campi di concentramento, spie e aguzzini che ne accompagna l’esperienza storica. «Una realtà che nessuna revisione dei conti può occultare né ridimensionare. E che in termini crudi può essere espressa così: numerose generazioni di comunisti, in questo secolo, condussero la loro battaglia per un mondo e un’umanità radicalmente diversi, usando le armi degli altri. Le armi dei propri nemici, delle tradizionali classi dominanti, degli oppressori e dei tiranni. Per molti aspetti, peggio degli altri. Nella convinzione condivisa che la grandezza dei propri fini avrebbe comunque riscattato la durezza dei mezzi».
È in questa devastante contraddizione — tra i fini desiderati e i mezzi utilizzati, tra premesse ideali ed esiti reali — che annida la tragica ambivalenza del militante rivoluzionario. «La sua ineliminabile doppiezza». «L’io continuamente scisso tra principi giusti e risultati sbagliati». La sua antropologia è segnata dal rovesciamento di tutti i valori che il comunismo, una volta conquistato il potere, pratica con sistematicità. Il ribellismo trasformato in autoritarismo, lo spirito libertario mortificato in gregarismo. L’identità sovversiva e autonoma delle origini dissolta nella gestione del potere. Ed è in questo «drammatico solco tra finalità e mezzi» la grande differenza dal nazismo, segnato dalla «perfetta coincidenza tra ferocia dei mezzi e ferocia dei fini». Distanziandosi dal suo maestro Bobbio, che ieri su queste pagine in un’intervista a Giancarlo Bosetti tracciava una forte analogia tra i due totalitarismi, Revelli ne contesta anche la definizione di comunismo come utopia reazionaria: «Il comunismo non è né incidente di percorso né residuo di passato sopravvissuto nella modernità: è incarnazione tragica della stessa modernità, essendosi arreso ai mezzi materiali che il Novecento gli mette a disposizione. Questo è un secolo in cui la forza delle cose travolge la forza delle idee».
Il comunismo come strada inesorabilmente sbarrata: «non possiamo salvarne nulla e dobbiamo ripartire da zero». Andare «oltre il Novecento», come recita il titolo del saggio. Ma nel gettare in mare il militante rivoluzionario con il suo fardello di ambiguità, non c’è il rischio di liquidare quello straordinario patrimonio di energie, uomini e idealità che pure ha caratterizzato la storia dei comunisti italiani? Severa la risposta: «È indubbio che in Italia il Pci abbia rappresentato un grande progetto di educazione civile. Ma il risultato non è tra i più entusiasmanti: passività, atteggiamenti acritici, machiavellismo, in qualche caso cinismo. Molti dei valori originari sono stati bruciati nella grande macchina che mette al primo posto il potere politico».
Requiem dunque per il soldato della rivoluzione. Sostituito oggi da una figura ancora evanescente, fragile, «appena percepibile in filigrana sulla scena sociale». È il Volontario, nuovo attore della solidarietà e della ribellione, «distante sia dai furori ideologici che dalle meschinità burocratiche del potere». Non ha né un uniforme né una bandiera. Non è appunto un soldato. «È un civile, animato dal senso di responsabilità, capace di "fare" fuori dalle logiche del profitto». Ed è nel passaggio dall’»estenuata figura del militante» a quella ancora «vacillante» del Volontario che Revelli rintraccia una delle possibili «uscite di sicurezza» del Novecento. «Sono consapevole che l’operazione sia rischiosa. Assumere il volontario come riferimento per un nuovo inizio comporta una buona dose di iconoclastia. Significa rinunciare a molte tesi care alla vecchia sinistra. Un scommessa, dunque. Che oggi vale la pena tentare».

La Repubblica
27 gennaio 2001
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