La Telecom vittima del crimine invisibile

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centrosardegna
00giovedì 14 settembre 2006 22:50
La Telecom annuncia la dismissione della rete mobile, la vendita di Tim a Murdoch, terminando finalmente con successo trattative che durano da mesi. I conti e gli accordi da tempo che erano stati stabiliti, tant'è che erano trapelate nella stampa le prime indiscrezioni su una collaborazione che andava ben oltre gli accordi sui contenuti, come volevano far credere. Tronchetti Provera ha un debito di circa 1 200 milioni di euro con Banca Intesa e Unicredit, che hanno acquistato un pacchetto azionario della Holding e vogliono ora cederla. I banchieri rivogliono i loro soldi, gli stessi che hanno permesso a Tronchetti di definirsi un grande industriale e di fare il signore e lo speculatore mentre i risparmiatori compravano i pacchetti azionari della Telecom.
Allo stato attuale delle cose tutti sapevano che dietro questi accordi sui contenuti di Fox sui cellulari era una falsa notizia che dichiarava invece le pressioni di Murdoch nel voler acquistare l'unico polo di telecomunicazioni italiana. Le Banche questa volta hanno fatto un vero gioco sporco, hanno drogato una societa' con finanziamenti senza garanzie e fideiussioni, per preparare il campo di guerra per sferrare l'ultimo e decisivo attacco e borseggiare Tronchetti. Ora ad alzare la voce e' Beppe Grillo, con un importante impulso anche dell'Adeconsum che chiedono il risarcimento dei danni subiti dai risparmiatori, ed eventualmente la rappresentanza degli utenti in seno all'assemblea dei soci. Ovviamente, il problema non e' l'idea strampalata di Beppe Grillo, che interviene tanto per fare la voce grossa e rubare share sulle ceneri dell'italianita', ma il fatto che un governo di uno stato democratico abbia dichiarato che non ne era conoscenza. Che le associazioni di consumatori e questi piccoli rivoluzionari facciano le guerre delle Banche e' ormai risaputo, cosi' come le associazioni umanitarie che lottano per la corruzione, sono i cani ad caccia della Banca Mondiale e del FMI. Beppe Grillo invece tanto urla perche' finalmente puo' raccogliere i frutti del suo duro lavoro che dura da anni, avendo ormai tanto di quel materiale sulla vita di Tronchetti da poter far girare lo spettacolo per un altro anno. Questo comico, tanto parla, ma, dopo ave abbandonato Auriti e averlo rinnegato, aver fatto le lotte per il signoraggio, ha dimenticando che l'Adusbef voleva vendere l'oro per risanare i conti pubblici, dopo che per molto tempo Fazio si era opposto. Questi pappagalli alla fine esattamente come gli e' stato comunicato dai dirigenti e le alte sfere che hanno la situazione, mediatica e finanziaria, complemanente sotto controllo: scriveva > e neanche sapeva il motivo.
Tuttavia, quando a cadere dalle nuvole e' un Governo, con tutto il suo Stato e' davvero preoccupante, perche' non essere a conoscenza dei movimenti societari sul territorio nazionale e' indice di grave incompetenza, in quanto il loro unico scopo dovrebbe essere quello di ben monitorare la situazione economica per poter promuovere le eventuali modifiche. Ma Prodi non si occupa di queste cose, no lui si occupa solo dei suoi finanziatori, dei Banchieri che di volta in volta gli danno il contentino per non far smettere alla giostra di continuare a girare senza di Lui. Se queste affermazioni fossero state fatte da un capocentro di un servizio segreto, allora sarebbero subito scattate le manette, come minimo : questo per capire le contraddizioni di questo sistema sono ovunque e sono terribili. Evidentemente se nonostante questa evidente incapacita' le persone non solo restano al loro posto, ma vengono addirittura promosse, significa che avranno a carico come minimo una decina di dossier pronti a scattare non appena sbaglia con le parole. A noi sembra comunque strana questa sua lentezza nel capire cosa dicono, caro Prodi, perche' quando sei venuto qui nella Ex Jugoslavia hai fatto in fretta a saccheggiare la Telecom Serbia.
Nessuno ha mai parlato di golden share, forse perche' anche applicarla non sarebbe possibile, dato che la norma e' stata gia' portata all'attenzione della Corte di Giustizia che sicuramente creera' un importante precedente, che vale piu' di una manovra costituzionale. Il potere di uno Stato di impedire il trasferimento delle azioni in societa' provatizzate, e' una clausola che da tempo non viene applicata e porta senz'altro problemi per riadeguare dopo il sistema giuridico alle novita' , essendo quasi deciso del tutto la sua eliminazione.

Le telecomunicazioni sono andate perse nel momento in cui si è permesso che una "specie di industriale" comprasse una società statale con i soldi delle Banche. Gli piaceva spendere a Tronchetti, e così ha cominciato a frequentare le cattive compagnie, che, nel momento in cui si sono organizzati a livello globale, lo hanno abbandonato. Ora si viaggia con Murdoch e Vodafone, sono loro i Banchieri della situazione. La rete internet sarà l'autostrada delle informazioni, su di essa gireranno ogni tipo di software, ogni programma di gestione e di archiviazione dei dati sarà sulla rete. Possedere l'accesso alla rete, avere il potere su di essa significa controllare un intero stato, e non serviranno più i servizi segreti, lo spionaggio o le azioni terroristiche: questo sarà l'unico ricatto. Allo stesso modo i ricevitori e le antenne saranno i canali della trasmissione dell'energia elettrica, in tutto il mondo.
Nessuno può oggi salvare la Telecom, è il sistema che la ha condannata, perchè una volta costruito va da solo, senza il bisogno dei rettili che mettano il suo. Viviamo in un sistema automatizzato, per cui una volta scritte le leggi per darle in pasto ai pappagalli, i giochi sono finiti.
Riflettiamo, piuttosto, sui referendum, sui progetti di legge, sulle lacune legislative: lì possiamo intervenire per preventivare una situazione di crisi. Dopo non serve a nulla parlare, cari nostri Predicatori, perchè state zitti quando i vostri "compagni" fanno i decreti per la liberalizzazione e la deregolamentazione.

Nell'incontro eterno tra bene e male, accade che il crimine invisibile agisca con una tale maestria che non si distingue piu' la notiza di disinformazione da quella di controinformazione pilotata. Questa e' infatti una tendenza che trova la sua origine proprio da un progetto dei sevizi, che gestisce bene le notizie che possono essere divulgate e quelle che vanno tenute riservate, in modo da controllare l'informazione e indirizzare le menti verso una strada che disorienti e provochi smarrimento nelle persone.
Per farvi un esempio, sicuramente il piu' eclatante, la caduta delle Torri Gemelle e' stata la dichiarazione di guerra di Bush ai Banchieri, e i Banchieri non hanno tollerato questa condotta, tant'e' che per difendersi dalle ostilita', sono diventati loro i rivoluzionari, che si sono autonominati ribelli o dissidenti. L'America e' la prima grande vittima di queste famiglie assurde e chiuse, e' costretta a rubare il petrolio negli altri paesi e adesso sta facendo la guerra alle Banche, come hanno fatto d'altronde tutti i presidenti americani. Spiegare questo diventa sempre piu' difficile, perche' la controinformazione riesce a manipolare le menti, e le può portare ovunque sia necessario ascoltare. I complottisti, i giornalisti, sono anch'essi pilotati all'interno di un sistema che non fa capire cosa in realtà stia succedendo. Parlare di crimine invisibile oggi rappresenta una vera rivoluzione, perchè oggi ci sono i complotti, le teorie rettiliane, senza che nessuno capisca che dietro tutto ci può essere una realtà molto diversa, una realtà il cui i due mondi, quello delle persone normali e dei banchieri, si incontrano e potrebbero un giorno viaggiare insieme.

centrosardegna
00sabato 16 settembre 2006 21:33
Telecom ai capitali stranieri? Boh, Prodi non c'era e non sapeva…





Premesso che le privatizzazioni non vengono realizzate per il nostro bene, cioè dei cittadini, ma rappresentano lo strumento, o meglio la strategia principe per il controllo della società a beneficio esclusivo dei potentati bancari internazionali!
Premesso che tali strategie fondano le loro origini in precise operazioni anglo-statunitensi iniziate verso la fine degli anni ’70 in Inghilterra (tramite il gruppo Rothschild e il burattino Margaret Thatcher), e negli Stati Uniti (tramite il gruppo Rockefeller e i burattini Donald Reagan della Merril Linch e Walter Wriston della Citicorp), e poi esportate ed imposte in Italia dagli inizi degli anni ’90 con Romano Prodi & C.
Detto ciò è logico allora che anche l’affaire Telecom-Tim rientra in tutto questo.

Questa volta però il povero professor Romano Prodi - nonché Primo Ministro, nonché Mister Goldman’s Sachs - non lo sapeva. Non era al corrente.
Diciamolo fin da subito per togliere qualsiasi ombra sul suo operato.
Lo ha dichiarato egli stesso: «Marco Tronchetti Provera» - per chi non lo conosce è il marito della grande intrattenitrice e showgirl tunisina Afef Jnifen – mi «disse cose diverse da quelle fatte»!

Avete capito? A Prodi, l’imprenditore più indebitato d’Italia non solo non gli avrebbe detto in anticipo di questa piccola vendita da decine di miliardi di euro, ma anzi, gli avrebbe detto cose diverse!
Povero Romano, nessuno lo considera!

L’uomo di punta delle elites bancarie internazionali (senior advisor, cioè consulente della banca d’affari ebraica più potente del mondo, la Goldman Sachs ), l’uomo che dal 1993 diede inizio alle grandi privatizzazioni come la vendita di Italgel, Cirio-Bertolli-De Rica (IRI), della Comit (1994) sempre da parte dell’azionista IRI, della prima tranche dell’IMI, INA, SME e di altre società dell’ENI. L’uomo che ha saputo smontare pezzo dopo pezzo l’IRI (l’Istituto di Ricostruzione Industriale nato nel 1933) non è stato avvisato!

D’altronde è impegnato da una parte con la missione in Libano (l’ennesima prova del servilismo politico italiano), dall’altra con Mister Euro, al secolo Tommaso Padoa Schioppa, a silurarci per bene con la stangatina da 24-30 miliardi di euro.
Un uomo così impegnato, come potrà mai accorgersi dell’ennesima riorganizzazione del gruppo Telecom-Tim? Dell’azienda fiore all’occhiello dell’Italia? Dell’azienda destinata a diventare leader europeo nel settore delle telecomunicazioni? Dell’azienda collegata all’intelligence statunitense?
Forse anche perché il gruppo ha sul groppone un buco da 41,3 miliardi di euro?
O magari dipende dal suicidio dell’ex dirigente della Telecom, responsabile della sicurezza, Adamo Bove? Apro una parentesi perché qualche giorno fa si è suicidato pure il dirigente della Vodafone Grecia, anche lui – casualmente - responsabile della sicurezza! Bisogna ammettere che oggi essere responsabili della sicurezza di multinazionali della telefonia è pericoloso per la propria salute…

Detto questo, c’è da dire anche che la rete Telecom - monopolisticamente instaurata con i nostri soldi - nel corso dei decenni ha messo giù delle cose molti interessanti e allettanti: 30,4 milioni di linee (leader in Italia con il 40,5% del totale) e ben 3,4 milioni di clienti Umts (Universal Mobile Telecommunications System), la terza generazione di sistemi mobili che permetterà l’integrazione (sinonimo orwelliano per dire: controllo totale) di testo, suoni, voce, e multimedialità.
Assodato che Prodi poveretto non era al corrente; assodato che l’Unione Europea (il cui Trattato di Maastricht sancisce ufficialmente la perdita della sovranità politica e monetaria dei paesi aderenti) ha già detto niet alla Golden Share, e cioè all’uso del potere di veto della vendita di una società a capitali stranieri: in quali mani finirà la ditta nostrana?

Circolano già alcuni nomi:

- Rupert Murdoch, il magnate australiano dei media (il numero uno al mondo degli editori). Il Presidente della News Corporation pubblica circa 175 giornali (The Times, The Sunday Times, The Sun, New York Post, Weekly Standard, per citare i più famosi), ed è proprietario di network televisivi come Sky tv (milioni di abbonati) in Europa e Fox tv in America.

- Il fondo d’investimento statunitense Carlyle (il cui rappresentante per l’Italia è l’ingegnere Carlo de Benedetti), è stato definito da Industry Standard come “la più grande società d’investimenti privata del mondo”. Ha 13 miliardi di dollari da gestire soprattutto nel settore della difesa, speculando sui conflitti militari e sulla spesa per le armi. Tra le sua fila infatti, annovera uomini con credenziali importanti e collegamenti col Pentagono, il Dipartimento della Difesa e il CFR (Consiglio per le Relazioni con l’Estero, il governo invisibile americano). Fra i partner di Carlyle figurano l’ex segretario di Stato americano James Baker III, George Soros (miliardario ungaro-statunitense che ha speculato sulla sterlina con l’avvallo del governo britannico, ha speculato sulla lira nel 1992 con l’avvallo di Ciampi e provocando la svalutazione della nostra moneta del 30%; ha distrutto le Tigri Asiatiche mandando in fallimento e al suicidio milioni di persone in Asia), Fred Malek e persino George Herbert Walker Bush (Bush senior, padre dell’attuale presidente degli Stati Uniti, nonché massone del 33° grado del RSAA, Rito Scozzese Antico e Accettato).
Non è una novità inoltre che il Gruppo abbia gestito per anni i soldi di Yeslam bin Laden (fratello di 0sama bin Laden).

- Telefonica, una ditta spagnola di telefonia che tra le numerosissime compagnie (vedi elenco in Pdf) figura la ENDEMOL ITALIA (Holding) Spa, la ditta produttrice di chicche televisive e d’intrattenimento molto intelligenti come “Il Grande Fratello”, “ La Fattoria ”, “Chi vuole essere Milionario”, “Affari tuoi”, “La pupa e il secchione”, “L’isola dei famosi”

Sinceramente non saprei proprio chi scegliere tra questi contendenti…
Comunque sia, staremo a vedere a chi andrà la Tim , ma la cosa certa è che «si tratta - come ha dichiarato l’Adusbef (Associazione Difesa utenti servizi bancari, finanziari, postali e assicurativi) - dell’ennesimo paradosso delle privatizzazioni all’italiana, che hanno avuto l’unico effetto di far sostituire monopoli privati a quelli pubblici: questo è pagato caro dai consumatori, che invece di ricevere servizi di qualità a costi più contenuti rimpiangono i ‘boiardi di Stato’…”

Per concludere, a proposito di privatizzazioni, faccio mia la definizione dell’avvocato Marco della Luna - autore dell’ottimo libro “Euroschiavi” - sulla strategia, quella vera, delle privatizzazioni.

«Sul piano più superficiale le privatizzazioni sono operazioni patrimoniali con cui lo Stato vende beni propri, pubblici, comperati o costruiti con i soldi dei cittadini, a soggetti privati, al fine di procurarsi denaro (…). Tali operazioni di vendita sono sovente operazioni di ‘svendita’ in favore di gruppi imprenditoriali che in cambio ‘sostengono’, in tutti i sensi, gli uomini e i gruppi politici che le eseguono. (…)
La politica dei governi italiani (sia di destra che e soprattutto di sinistra, ndA) si è rivolta alla cessione e allo smantellamento delle imprese (…). Le cessioni e gli smantellamenti sono andati a beneficio di gruppi non solo privati, ma anche e soprattutto stranieri (lobbies bancarie internazionali, ndA) (…)
In un mondo dove già la maggior parte delle risorse naturali è nelle mani di cartelli come l’Opec, lo Stato, anzi i politici (servi dei banchieri, ndA) privatizzano anche imprese mono od oligopolistiche, soprattutto eroganti servizi vitali per la collettività: energia (Enel, presto Eni), trasporti (Autostrade), telecomunicazioni. (…) La giustificazione addotta a queste operazioni è quella che la gestione privata consentirà risparmi di denaro pubblico e migliori servizi a minor costo grazie alla concorrenza e alla logica aziendale. Non è esattamente questo, però, che abbiamo ottenuto. Anzi, mentre i conti degli enti pubblici interessati rimangono critici, vediamo molti servizi peggiorare qualitativamente e quantitativamente, a fronte di un rincaro di costi e tariffe. Vediamo una crescente esterizzazione del capitale (che finisce sempre all’estero, e sempre nei stessi posti, ndA) di queste società di diritto privato. Vediamo le nomine ai loro vertici sempre più legate al peggiore clientelismo, anziché al merito»

Esemplare è il caso della Telecom dove il merito della classe dirigente è riuscito a creare una voragine di 41,3 miliardi di euro (circa 80mila miliardi delle vecchie lire!)
Evviva le privatizzazioni!!!

centrosardegna
00giovedì 21 settembre 2006 22:09
Telecom: è tardi per scandalizzarsi




Perché vi scandalizzate adesso per gli affari sporchi di Telecom?
La frode e il saccheggio sono stati compiuti già all’inizio, nella sua «privatizzazione».
Fu nel 1997, quando il governo Prodi mise sul mercato le azioni telefoniche in possesso del Tesoro. E vendette quelle azioni - cosa nostra, pagate da noi contribuenti in mezzo secolo - per una cifra minima: tant’è vero che si vide, in un anno, che Telecom valeva sul mercato cinque volte di più (più 514 %).
Insomma Prodi svendette un patrimonio nostro e dello Stato.
Un regalo per amici e privilegiati.
Vero è che l’enorme rialzo fu in parte dovuto ad altre frodi del governo.
Si proclamò che di Telecom si voleva fare una public company; i piccoli risparmiatori furono invitati a comprare da una campagna martellante (e infatti comprarono l’85%).
La fiducia dei risparmiatori fu artificialmente accresciuta dall’affermazione, emanata dal Tesoro, che la AT&T, il colosso USA delle telecomunicazioni, s’era precipitata a comprare ben il 2,4% della nostra Telecom: una presenza che aumentava il prestigio e dunque il valore di Telecom. Ebbene, era una menzogna.
Quel 2,4 % restò parcheggiato al Tesoro, fino a quando AT&T rese pubblico che non aveva mai pensato di comprare alcunchè.
Ministro del Tesoro era allora Ciampi, il padre della patria.
Direttore generale, Mario Draghi.
Al vertice di Telecom fu nominato l’immarcescibile, il sempre intoccabile Guido Rossi.
In realtà, il potere fu assegnato a un «nocciolo duro» di vari proprietari, ciascuno dei quali possedeva lo 0,5 %, lo 0,6 %: fra cui Ifil (Agnelli), i soliti capitalisti senza capitale.



Prima ancora della privatizzazione, il più bell’affare sporco di Telecom: nel ‘97 compra il 29 % di Telekom Serbia, pagando a Milosevic 878 miliardi di lire.
Rivenderà questa quota a Telekom Serbia, cinque anni dopo (caduto Milosevic), per 378 miliardi: con una perdita del 57%.
Su questo delitto il Polo, Paolo Guzzanti in testa, faranno una così rumorosa «indagine», da pasticciare le cose in modo tale, che nulla si scoprirà e nessuno sarà condannato.
E' stata tutta una serie di affari schifosi, in pura perdita, a portare il debito Telecom a 40 miliardi di euro, il costo di tre finanziarie lacrime-e-sangue.
Nel 1997, quando il governo (Prodi) privatizza Telecom, ne ricava 11,8 miliardi di euro.
Lo Stato esce dalle telecomunicazioni, si proclama.
Ma nel 2001 ENEL - società pubblica - rientra nelle telecomunicazioni comprando Infostrada, una concorrente di Telecom, ma più piccola.
E per quale cifra? 11 miliardi di euro.
Ma che c’entra Infostrada, direte voi.
C’entra e spiega come avvenne il saccheggio.
Infostrada è, sostanzialmente, la vecchia rete telefonica interna delle Ferrovie dello Stato.
Il governo (Prodi) vendette questa preziosa infrastruttura, nostra e pagata da noi, ad Olivetti (De Benedetti) per 700 miliardi di lire, pagabili con comode rate in 14 anni.
E Olivetti la vendette subito alla tedesca Mannesman per 14 mila miliardi di lire, mica a rate, ma in unica soluzione.
Non è un bel regalo, un patrimonio nostro ceduto a un amico loro a un ventesimo del suo valore?
Nessuno fu incarcerato per questo.
Anzi, uno sì: Lorenzo Necci, onesto manager delle Ferrovie, cercò di opporsi.
Giuliano Amato e Massimo D’Alema gli consigliarono di non fare il difficile, di dare la rete a Olivetti senza tirare sul prezzo.
Necci non capì l’amichevole consiglio.



La magistratura lo incriminò subito dopo, le sue telefonate intercettate divennero di pubblico dominio, lo attendevano mesi di carcerazione preventiva.
Poi assolto.
D’Alema va al governo, e comincia il saccheggio firmato Colaninno.
Questo «capitano coraggioso» dalemiano s’è accaparrato Olivetti, e con questa dà la scalata a Telecom.
Con irregolarità mostruose: ma quando la Consob, con Spaventa a capo, vuol vederci chiaro, un colloquio a quattrocchi di D’Alema con Spaventa spaventa Spaventa (che non è un ardito, ed ha di fronte l’esempio di Necci).
Un caso soltanto: nell’offerta pubblica d’acquisto, Colaninno è costretto ad aumentare l’offerta, da 10 a 11,5 euro ad azione, perché il titolo in Borsa è salito.
Da quel momento ovviamente Colaninno ha estremo interesse che il titolo non salga più sul «libero mercato».
Che fa?
Si scopre che in quei giorni lui e soci vendono di soppiatto le azioni in loro possesso e di cui dichiarano al mercato di essere pronti a comprarne di più: per farne calare il corso.
I capitani coraggiosi realizzano tra l’altro una plusvalenza di 50 miliardi con questa vendita occulta, perché hanno approfittato del rialzo da loro stesso determinato con l’annuncio di voler acquistare a 11,5 anziché a 10.
In altri Paesi, ciò si chiama aggiotaggio e insider trading, e porta in galera.
In Italia no, quando governa D’Alema.
Colaninno si scusa, e finisce lì.
La scalata venne definita dal Financial Times «una rapina in pieno giorno».



Colaninno non ha soldi, ma amici e ingegno.
Controlla al 51 % una società fantasma, la Hopa, che controlla il 56 % di un’altra entità chiamata Bell, la quale controlla il 13,9 % di Olivetti, la quale a sua volta controlla il 70% di Tecnost, che controlla il 52 % di Telecom.
Fatti i conti, Colaninno e i suoi complici controllano Telecom detenendone l’1,5 %.
Saggia minuscola partecipazione: Telecom ha già 30 mila e passa miliardi di debiti, e deve pagare il debito con rate di 6,600 miliardi l’anno, un rateo mangia-profitti.
Qualche curiosità si appunta, in queste scatole cinesi, sulla Bell: non si sa chi ne siano i soci.
A garantire la trasparenza della Bell interviene direttamente il capo del governo, D’Alema.
Chissà perché.
Due giornalisti di Repubblica scoprono un perché possibile: tra i soci fondatori di Bell compare un capitalista collettivo chiamato Oak Fund, con sede alle Cayman.
Oak Fund significa, tradotto, Fondo Quercia, e risulta un fondo gestito in esenzione fiscale, in un paradiso vietato dalla legge italiana, da soci anonimi con quote al portatore.
Sarà a causa di questo Fondo Quercia che Marco Travaglio parlerà, a proposito dei nuovi comunisti, come di gente «entrata al governo con le pezze al culo e uscitane coi miliardi»?
Sarà per questo che, come testimoniò Colaninno, dopo la sua OPA il ministro Bersani gli telefonò gridandogli: «E vai!», esultante alla romagnola?
O che Prodi esalò un giorno: «Se avessi fatto io il 2 % di quel che sta facendo D’Alema per influenzare le decisioni di aziende quotate sui mercati sarei già crocifisso»?
Certo è che ci furono dei bei guadagni dai saccheggi di Colaninno.
Colaninno stesso ne è uscito, dopo il disastro da lui provocato, supermiliardario.
Ma non è il solo.
Prendiamo per esempio la SEAT, che gestisce la pubblicità.
Apparteneva a Telecom, e fu dismessa.
Anzi no: ne fu poi ricomprato da Telecom il 20 % (perché se la società committente possiede almeno il 20 % della società cui affida la pubblicità, può farlo a trattativa privata evitando la gara d’appalto: in gara c’era il gruppo Fininvest, che di pubblcità s’intende un po’).



Chi acquistò SEAT (Comit - De Agostini ed altri, ammucchiati in una società chiamata «Otto») a 1.955 miliardi per il 61%, la rivende trenta mesi dopo a Colaninno, che ne acquista il 20 % a 7200 miliardi; poi un altro 17 % a 5 mila miliardi, e un altro 8 % per 5750 miliardi.
Insomma, una cosa acquistata a 1.955, viene venduta subito dopo a 16 mila e passa.
A fornire i soldi alla «Otto» per il fortunato acquisto è Dario Cossutta, figlio dell’Armando, alto dirigente della Banca Commerciale - che è anche socia della «Otto».
Ma gli altri soci, che dovrebbero pagare le imposte sulle plusvalenze dopo la splendida vendita al mille %, si trasformano prontamente in società lussemburghesi.
Chi sono i padroni?
Non si sa; tutta una catena di società anonime che finiscono in paradisi fiscali: si ignora chi abbia incassato la plusvalenza miracolosa senza pagare le tasse, in un’operazione voluta dal governo (Prodi) di allora.
Magari qualche partito?
Magari qualche gemello di un qualunque Oak Fund alle Cayman?
Non chiedete a me.
Vi ho raccontato solo quattro cose, delle molte che basterebbero per sbattere in galera l’intera sinistra di governo italiana, la grande saccheggiatrice del patrimonio pubblico con le «privatizzazioni».
Io, poi, non so nulla.
Mi sono limitato a copiare: da «Il grande intrigo», un libro del giornalista economico Davide Giacalone, distribuito da Libero.
Non chiedano a me, i magistrati.
Non so niente di Tronchetti, né di Tavaroli lo spione che intercettava, e che aveva da parte 14 milioni di euro (provenienti dalla società più indebitata dell’universo).
Se vogliono indagare, li rimando al libro di Giacalone, è tutto scritto lì.
Arrestino lui, semmai, se vogliono indagare.
Io non c’entro.

centrosardegna
00giovedì 21 settembre 2006 22:16
"Grande orecchio" Telecom Il Garante: nessuno pubblichi





Giuliano Tavaroli verrà interrogato venerdì nel Palazzo di Giustizia di Milano dal Gip Paola Belsito. L´ex Carabiniere e capo della sicurezza della Telecom non è semplicemente uno dei 21 arrestati nell'ambito dell'inchiesta milanese sulle intercettazioni illegali, ma è considerato la "mente" dell'«associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e alla rivelazione di segreto d'ufficio» che, attraverso Telecom con la complicità di appartenenti alle Forze dell'Ordine e soprattutto affiancato dal suo braccio destro Emanuele Cipriani (titolare della famigerata agenzia investigativa privata Polis d´istinto), avrebbe spiato e schedato centinaia e centinai di cittadini italiani più o meno noti. Dal banchiere Cesare Geronzi (il cui nome emerse durante l´indagine su Abu Omar) all´ex centravanti dell´Inter e della Nazionale Bobo Vieri. Ma soprattutto ci sono le centinaia di nomi di "persone qualunque" che venivano controllati a richiesta.

Negli atti dell´inchiesta si parla di vari delitti riguardanti «la corruzione di pubblici ufficiali per atti contrari ai doveri d'ufficio, ossia atti di indagini clandestine e illecite, l'utilizzazione a fini patrimoniali di segreti di ufficio o di informazioni tratte da banche dati del Ministero dell'Interno, delle Finanze e della Giustizia, consultabili solo da pubblici ufficiali per motivi d'ufficio, nonché informazioni riservate acquisite dai servizi di informazione dello Stato italiano e di stati stranieri, l'utilizzo dei dati relativi al traffico storico di utenze Tim attinti tramite l'applicativo radar, accessi abusivi a sistemi informatici, e appropriazione indebita in danno al gruppo Telecom-Pirelli principale committente del Cipriani». Insomma, un "grande orecchio", segreto, illegale e tentacolare che, come ha detto il ministro Di Pietro, aveva creato «strutture di intelligence parallele utilizzate per scopi privati. Insomma, gli "spioni di Telecom, indagavano e archiviavano non tanto per la politica ma per far soldi (da qui l´accusa di appropriazione indebita: più di venti milioni, finiti probabilmente nelle tasche della coppia Tavaroli-Cipriani). Non solo, però. Oltre ai "fini personali" l´inchiesta della Procura di Milano sembra far emergere anche con legami coi servizi segreti. Tanto che i nomi di Tavaroli e Cipriani erano venuti fuori anche per il caso del rapimento Abu Omar.

Così, dopo quella culminata con i 20 arresti, alcuni dei quali già interrogati dal Gip, una nuova indagine è alle porte. È quella amministrativa disposta dal ministro della Giustizia Clemente Mastella che ha annunciato che invierà uomini dell'Ispettorato Generale del suo dicastero a verificare «la veridicità» di quanto è emerso fino ad ora e «i precisi contorni della vicenda per l'individuazione di eventuali responsabilità disciplinari di personale appartenente all'Amministrazione della Giustizia».

Intanto Brutti, vicepresidente del Copaco, torna ribadire che della vicenda si occuperà il comitato di controllo sui Servizi, e Cesare Salvi, presidente della Commissione Giustizia del Senato, chiede al sottosegretario con delega ai servizi segreti di venire in commissione: «perché il governo ci deve dire se le affermazioni rese durante le audizioni dal rappresentante del Sismi che ci ha detto che il Sismi non ha mai svolto intercettazioni né legali né illegali, sono la posizione del governo. Se il governo avalla o non avalla o ritiene di non aver nulla da dire in proposito che sarebbe fatto poco gradevole».

ma si moltiplicano anche le dichiarazioni politiche. «È una brutta storia. Molti pensano che si possa condizionare o ricattare le scelte del Paese spiando la vita delle persone» dice il segretario dei Ds Piero Fassino. «Si tratta di una vicenda di una gravità assurda. Chi doveva controllare non ha saputo o voluto controllare» rilancia Rutelli. E Mauro Fabris, capogruppo Uder alla Camera, parla di una vicenda gravissima: «In altri momenti si sarebbe gridato al colpo di Stato, e ci siamo vicini: è una vicenda gravissima, per la quale il governo deve intervenire».

Insomma la questione intercettazioni, su cui comunque si sta preparando una Commissione d´inchiesta ad hoc, infiamma e preoccupa il Belpaese. Anche perchè, come spiegano gli atti dell'inchiesta della Procura di Milano, quella che passava da Telecom sembra esere la più grande centrale di spionaggio mai scoperta in Italia. Da non dimenticare che l´Italia ha il primato europeo delle intercettazioni e , secondo l´Eurispes, in dieci anni sono state intercettate le telefonate di quasi 30 milioni di italiani con un incremento vertiginoso nell'ultimo quinquennio. E i numeri si riferiscono solo a quelle "legali". Per questo nella faccenda Telecom è intervenuto anche il Garante della Privacy (che già a maggio aveva richiamato la società proprio per le "falle" scoperte nella protezione della privacy dei cittadini): «Dall'inchiesta - spiega una nota - sta emergendo che migliaia e migliaia di cittadini sono stati controllati e spiati illegalmente. Tutti coloro che possono venire a conoscenza di queste informazioni personali al rigoroso rispetto dei diritti e delle libertà dei cittadini che in questa vicenda sono vittime di reati gravissimi».
centrosardegna
00giovedì 12 ottobre 2006 16:22
TELECOM-PLOTTO





La tragica fine di Adamo Bove (nella foto), il supermanager della security Telecom “suicidato” con un volo di 40 metri lo scorso 21 luglio, potrebbe essere solo l’ultimo atto del duro scontro fra poteri finanziari (e paramassonici) occulti per il controllo del colosso italiano di telefonia e, forse, del futuro delle telecomunicazioni in Europa. Vediamo gli inediti assetti del potere in Telecom, fra uomini di area Opus Dei , faccendieri e piduisti.

Adamo Bove, il manager della security Telecom volato già il 21 luglio scorso da un ponte della Tangenziale di Napoli, era tra i professionisti di fiducia dell’Opus Dei. Il suo nome e la sua foto - con la scritta “deceduto” e la data sbagliata, 27 luglio - figurano ancora oggi fra i docenti degli Elis Fellows, i corsi professionali ad alto livello messi in campo dalla Prelatura romana con l’obiettivo di formare la nuova classe dirigente del Paese.

Per entrare a far parte del prestigioso organigramma occorrono requisiti ben precisi: «I Fellows sono persone che sanno dare "valore e valori" ai giovani che frequentano Elis - si legge nella presentazione ufficiale - ed aderiscono al nostro Manifesto». Vale a dire il documento che sancisce la nascita di Elis dentro la compagine religiosa fondata da Escrivà. Più che esplicita, dunque, l’appartenenza dell’intero apparato formativo alla potente “famiglia” guidata da monsignor Javier Echevarría. Inoltre, «chi frequenta l’Opus Dei sa bene - dice un ex alunno - che non è ammesso alcun docente privo di solide “referenze” nel vasto milieu della compagiine cattolica». Ma la presenza di big targati Telecom, nei corsi Opus Dei, non si limita al solo Bove. La corposa lista dei professionisti fellows, anzi, vede di gran lunga in prima fila uomini chiave del colosso di Marco Tronchetti Provera. A cominciare da Rocco Mammoliti, ingegnere, altro supermanager della information security Telecom, e poi Attilio Achler, responsabile Network Operations, Giovanni Chiarelli (Technical Information Services), Maurizio Gri (Sviluppo e Formazione area Marketing), Luigi Ernesto Marelli (responsabile del Personale divisione RETE), Matteo Mille (pianificazione acquisti IT), Franco Moraldi (Sviluppo e Formazione area Tecnology), Stefano Nocentini (Innovation & Engineering), Pietro Pacini (Telecontact Center), Lorenzo Roberti Vittory (Risorse Umane - Management Services). Tutti folgorati dal Verbo di san Escrivà. O, quanto meno, fedeli a quei principi.

«Al di là degli aspetti morali o religiosi - fanno sapere alcuni dissidenti - Telecom Italia è entrata da qualche anno nel Dna dell’Opus Dei con la nascita del Consorzio Consel, che permette agli affiliati un accesso diretto alle principali aziende di Stato poi privatizzate». Non c’è infatti solo Telecom fra i membri del consorzio fondato in Italia dall’Opus: fra gli altri, figurano giganti come Vodafone, Wind, Autostrade, Acea, Siemens. Ma a far la parte del leone è proprio Telecom con il suo management. E’ stato organizzato ad esempio dal duo Elis-Telecom il corso di formazione biennale (2005-2007) intitolato non a caso “Next Generation Network - Telecommunication Manager” per perfezionare le abilità nel settore di “Gestione e sicurezza delle reti Full IP”. A patrocinare l’iniziativa, il ministero per le Comunicazioni, gestito all’epoca dal nazional alleato Maurizio Gasparri. «Il motivo che portò Telecom Italia a dar vita al Cedel fu la possibilità di promuovere azioni formative dirette a giovani meritevoli, in una modalità integrata scuola-impresa», si legge nella pubblicità dell’iniziativa. Anche perchè «Telecom Italia ha sempre apprezzato il livello qualitativo dei corsi realizzati, assumendo circa il 60% dei diplomati dalla Scuola di Formazione Elis». Per garantire questo costante flusso delle nuove professionalità opusdeiste nei colossi finanziari italiani, l’accoppiata Elis-Telecom ha dato vita ad un apposito comitato scientifico. Del quale facevano parte lo scomparso Adamo Bove, in quota Tim, e l’altro uomo ombra in Telecom del general manager security Giuliano Tavaroli, vale a dire Fabio Ghioni. Tutti e tre fianco a fianco con protagonisti della galassia Opus Dei nel Campus Biomedico o nelle tante altre filiazioni di Elis.

CAPPUCCI IN CAMPO

Ma Telecom non è “solo” Opus Dei. Proprio a partire dalla tragica fine (tuttora avvolta nel mistero) di Adamo Bove è possibile intravedere l’inedito scontro in atto fra superpotenze occulte per il controllo del colosso telefonico italiano e, forse, del futuro delle telecomunicazioni in Europa. L’ombra della massoneria si allunga infatti sui destini di Telecom attraverso Emanuele Cipriani, il detective a capo della società investigativa Polis d'istinto, arrestato con Tavaroli su ordine del gip milanese Paola Belsito con l'accusa di intercettazioni illecite. Tra i due esisteva - secondo la ricostruzione degli inquirenti - un patto scellerato, una «gestione dei rapporti patrimoniali quantomeno anomala e difficilmente compatibile con quanto dovrebbe accadere in un settore rilevante di una grossa multinazionale». Oltre 2 milioni di euro fra il 2004 e il 2005: queste le parcelle versate da Telecom all’agenzia di Cipriani, inserita fra i consulenti per la sicurezza Telecom. Ma secondo gli investigatori quelle indagini, «piuttosto che un interesse immediato e diretto del gruppo Pirelli Telecom», servivano a «far lavorare i privati su indagini di interesse dei Servizi, o semplicemente già note ai Servizi, facendone ricadere il costo su Pirelli Telecom». Per creare, alla fine, soprattutto fondi neri.

Chi è veramente Cipriani? Dell’antico legame con la famiglia Gelli lui stesso non fa mistero: «da oltre 15 anni - dichiara - sono amico di Raffaello Gelli e di sua moglie Marta». Al punto che risulta essere stato ospite per lungo tempo in un appartamento dei Gelli a Montecarlo: «i soldi che sono stati ritrovati all’estero - racconta l’investigatore fiorentino ai pm - sono tutti miei... Per quanto riguarda le mie disponibilità presso Monaco, inizialmente indicai la domiciliazione presso l’abitazione dei signori Gelli e ciò quando gli stessi erano residenti a Montecarlo... I rapporti con la famiglia Gelli sono esclusivamente di amicizia...».

Della venerabile coppia la Voce si era già occupata a dicembre 2005, rivelando che a partire dal 2001 entrambi erano stati membri di una commissione umanitaria all’interno dell’Onu. Più di recente ritroviamo i due alle prese con la querelle su Villa Ada, nella capitale: all’interno del mestoso parco pubblico lady Marta Sanarelli Gelli lo scorso anno si proponeva infatti di realizzare, attraverso la società Antiqua 2001, un mega ristorante, poi bloccato dalle proteste dei comitati civici.

FAMIGLI CRISTIANI

Intanto, grazie all’amico Cipriani, decine di migliaia di dossier su vip e gente apparentemente comune cominciano ad essere elaborati e passare di mano in mano fra l’agenzia fiorentina, i servizi segreti e il vertice Telecom. A coadiuvare il lavoro della Polis d’istinto erano, fra gli altri, due giornalisti: Guglielmo Sasinini e Francesco Silvestri, sempre in tandem, attivi a Famiglia Cristiana e, in precedenza, collaboratori della rivista ufficiale dei carabinieri. Entrambi si erano fatti vivi con la Voce: la prima volta dopo la pubblicazione sul nostro giornale dell’inchiesta sul rapimento delle due Simone. Ci chiedevano altri materiali: rispondemmo che, come sempre, tutto quanto risultava documentato era già stato pubblicato. Poco più d’un anno fa Sasinini richiamò per domandarci se avessimo notizie su un imprenditore. Il tono misterioso della telefonata ci indusse a rifiutare ogni forma di normale scambio fra colleghi.

Trait d’union fra i giornalisti del popolare settimanale religioso e l’agenzia fiorentina era stato proprio un uomo Telecom. Secondo la testimonianza resa al gip Belsito dalle ex segretarie di Cipriani, infatti, Sasinini era stato visto frequentemente in compagnia di Tavaroli e di Adamo Bove. Nel 2002 il giornalista stipula con Cipriani il primo contratto di consulenza su input del comune amico Giuliano Tavaroli, che era in procinto di transitare, insieme allo staff riservato di Tronchetti Provera, dalle segrete stanze Pirelli a quelle di Telecom. Il passaggio avviene nel 2004; un anno dopo Sasinini rinnova il contratto non più con Polis d’istinto, ma direttamente con Telecom. «Per quelle attività - dicono in ambienti vicini al giornalista - Sasinini percepiva un compenso annuo pari a 160 mila euro, compresi gli onorari derivanti dalla direzione del nuovo mensile Noi Security».

SICURI DI “NOI”

A che doveva servire e, soprattutto, che cosa era veramente quel periodico? Intanto, nasceva probabilmente da una costola di Noi., il mensile di casa Telecom diretto da Cinzia Vetrano con Gian Carlo Rocco di Torrepadula come responsabile “Communication and Image”. 63 anni, Rocco di Torrepadula è presente nell’organigramma di Telecom Italia spa in veste di procuratore così come Gustavo Bracco, capo delle risorse umane, che della pubblicazione risultaba direttore editoriale. Quanto a Noi Security, dalle esigue tracce che si possono rinvenire oggi appare innanzitutto come un organo informativo ufficiale di casa Telecom. Lo conferma l’immagine che pubblichiamo in apertura: è ripresa dal sito della FTI, Forum per la Tecnologia dell’Informazione, che ancora il 2 gennaio 2006 riporta un brano tratto dalla newsletter di Noi.Security, la cui scritta campeggia sul logo Telecom. Ed è solo un caso che il bollettino abbia preso l’identico nome della società di vigilanza Noi Security Agency, che negli Stati Uniti ha vinto appalti «per garantire la sicurezza dal terrorismo - scrive il pacifista Aldo Capitini - di complessi per l’edilizia popolare a Pittsburgh, Filadelphia, Los Angeles, Brooklyn, Chicago, assicurandosi in pochi anni 20 milioni di dollari di fatturato, ma anche incappando in disavventure finanziarie e giudiziarie causate dall'eccessivo amore degli agenti per auto di lusso e ragazze»?

Forse una coincidenza, dovuta al fatto che il direttore responsabile dell’omonimo giornale di casa Telecom, Sasinini, è riconosciuto da tempo come giornalista esperto di terrorismo mediorientale. Un uomo, comunque, che vive da anni sotto scorta. Nel 1999 la Padania, riportando la cronaca dell’aggressione subita nella sua casa milanese dalla compagna di Sasinini, scrive che il giornalista, «caporedattore e inviato di Famiglia Cristiana, esperto di terrorismo islamico e profondo conoscitore delle Br», viveva già «da cinque anni sotto scorta». Chi pagava questa scorta - assai prima dell’11 settembre - e perchè? Il quotidiano della Lega aggiungeva poi alcune ipotesi sulla matrice dell’aggressione nella casa di Sasinini «che fa parte del gruppo Libera, quello di Caselli, che lavora per il sequestro dei beni dei Corleonesi». «Sasinini fu l’unico a pubblicare due lettere scritte da Moro durante la prigionia al nipote. Allora si credette che fosse in possesso dell’interno memoriale. Sasinini - concludono - ieri ha ricordato di aver ricevuto minacce a tal proposito anche dai vertici del governo. "Tutti mi chiamano Mino e loro, per intimidirmi, mi rammentavano la fine fatta da Mino Pecorelli"». Dalla stessa matrice antimafia provengono poi sia la moglie di Sasinini Katia Re che il suo alter ego giornalistico Francesco Silvestri, entrambi collaboratori, a inizio anni duemila, del periodico Narcomafie.

QUESTIONE D’ISTINTO

Sentito dal gip Belsito come persona informata sui fatti, Sasinini racconta nel dettaglio i suoi rapporti di consulenza con Tavaroli e soprattitto con Emanuele Cipriani, vale a dire il personaggio intorno al quale ruotano praticamente tutte le quattrocento e passa pagine dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Una ricostruzione tanto minuziosa da risultare inquietante per gli stessi magistrati, che definiscono questo sistema di investigazioni illecite come «un possibile ed evidente strumento di pressione, di condizionamento, di minaccia, se non addirittura di estorsione nelle mani di un ristretto gruppo di persone». Al punto che gli inquirenti non mancano di sottolineare che il sistema creato da Tavaroli e Cipriani è «una struttura la cui esistenza genera certamente un notevole allarme». Nessuna traccia comunque è finora emersa, dal lavoro dei magistrati, su coloro che detengono quote nella Polis d’istinto srl insieme allo stesso Emanuele Cipriani (20.000 euro sui 100 mila del capitale sociale) e a sua moglie, la trentaseienne Benedetta Leoni, presente nell’azionariato con 33.300 euro. Si tratta di due personaggi finora mai balzati agli onori delle cronache.

La prima è Eliana Albanese, classe 1928. Attuale detentrice di quote nominali in Polis d’istinto per 17.700 euro (e non presente in nessun’altra società), la Albanese è stata fino al 2001 socio accomandatante della sigla “spiona” di casa Cipriani. Succedeva in questa carica al fondatore dell’agenzia, Patrizio Martelli, fiorentino, 68 anni, che l’aveva ricoperta fino al 1998. Facendo ancora un passo indietro troviamo anche il nome del socio accomandatario che nel ‘90 passa il testimone a Cipriani: si tratta di Antonio Berneschi, nato ad Arezzo nel 1961, il quale nel ‘93 esce definitivamente dalla Polis. Attualmente Berneschi risulta titolare di un’altra sigla investigativa operante a Firenze. Si tratta della agenzia investigativa Pubblica & Privata «fondata - si legge nella brochure - negli anni Novanta da Antonio Berneschi che vanta un’esperienza ultraventennale in forza al Nucleo Informativo dell’Arma dei Carabinieri e alla Sezione Speciale Antiterrorismo (attuale R.O.S.) dove ha conseguito diversi encomi per attività di investigazione».

Ma torniamo alla Polis d’istinto e al quarto ed ultimo socio. E’ il quarantaseienne Luciano Seminara, presente nell’organigramma Polis con 29.000 euro e in una sfilza di altre sigle, sempre come socio. Il più recente acquisto risale ad appena l’8 agosto di quest’anno, quando fa il suo ingresso nella romana R.A.S.T. Recupero Ambientale Smaltimento Trasporti, una srl con quasi 50 mila euro in dote, nel cui parterre Seminara fa ora la parte del leone. R.A.S.T. e Polis d’istinto - insieme alla M.C.S., una srl con 12 mila euro di capitale e sede a Roma - sono le uniche tre società facenti tuttora capo a Seminara, il quale fra il 2001 e il 2006 aveva ceduto le sue partecipazioni in altre srl tutte con sede nella capitale: si tratta di Tetris, S.C.Q., Giambus & Dodo Charter and Broker, Traiano 2000 Bioimmagini ed infine ADA Europe. Di tutte queste aziende - com’era prevedibile - è sparita ogni notizia dal web. Così come criptata appare attualmente la Nice Consulting srl (www.niceconsulting.com), dedita alla “consulenza per la gestione dei patrimoni mobiliari e immobiliari”, partecipata da Emanuele Cipriani con 4 mila euro (sui circa 25 mila del capitale sociale) e della quale, comunque, non c’è traccia nella corposa inchiesta della magistratura milanese.

LO SCONTRO

Un lavoro - quello reso dalla Procura e dal gip - che appare solo come un primo squarcio in un universo torbido destinato probabilmente a portare alla luce altri clamorosi filoni d’inchiesta. Perchè una schedatura a tappeto come quella messa in campo per anni dalla “spectre” di Tavaroli, Cipriani e dagli 007 che ruotavano intorni a loro (in primis l’agente Sismi Marco Mancini, vedi box), non poteva evidentemente avere solo la finalità di creare fondi neri da dirottare in paradisi fiscali, come è finora stato accertato. Di certo, però, nella monumentale ordinanza del gip Belsito la figura di Adamo Bove non risulta in alcun punto inficiata da ombre o sospetti specifici, ma piuttosto inserita in un contesto popolato da criminali e loschi faccendieri.

Cos’altro di nuovo aveva scoperto su di loro Bove, il quale nei mesi precedenti aveva già offerto un contributo decisivo alle indagini della procura di Milano che portarono all’arresto dei dirigenti Sismi per il sequestro di Abu Omar? Che cosa stava per rivelare agli inquirenti prima di essere catapultato già dai 40 metri del viadotto di via Cilea della Tangenziale, lasciando accese le quattro frecce della Mini di sua moglie, la brillante ricercatrice partenopea del Cnr Wanda Acampa? «La presenza di Adamo Bove e di alti funzionari Telecom a corsi di formazione dell’Opus Dei - spiega un esperto di fatti parareligiosi - potrebbe indicare che lo scontro per il controllo Telecom tra massoni “deviati” come l’amico di Gelli Emanuele Cipriani, e la nomenklatura finanziaria dell’Opus abbia visto, almeno per ora, soccombere quest’ultima». Con una vittima sul campo: l’ex poliziotto napoletano Adamo Bove, per la cui morte - ha raccontato Wanda Bove all’Espresso - non ho ricevuto da Tavaroli nemmeno un biglietto di condoglianze. Uno scenario fosco. Sul quale, a Napoli, è chiamato a far luce un pubblico ministero di grande esperienza come Giancarlo Novelli. L’ipotesi accusatoria è: istigazione al suicidio.

Caro Bove le scrivo…

Circa tre anni fa Adamo Bove aveva avuto contatti professionali con una delle principali agenzie investigative operanti sulla piazza napoletana ed oltre, la A Zeta di Antonino Restino. «Eravamo stati noi - ricorda Carmine Evangelista, investigatore di punta della sigla partenopea - a cercare un contatto con il dottor Bove, come spesso facciamo con altri potenziali clienti, per sottoporre alla Tim il caso di una truffa sulle schede telefoniche che stava avvenendo nel Napoletano». Quella proposta non ebbe seguito, perchè nel frattempo la società stava attivando altri meccanismi di contrasto. Bove però aggiunse: «Sono io che chiedo qualcosa a voi: di aiutarmi a scoprire se esistono soggetti interni alla Tim responsabili di fornire tabulati interni della Tim ad una rete esterna di investigatori. E chi sono queste persone».

Dunque Adamo Bove fin dai tempi della sua permanenza in Tim aveva avuto sentore della fuga illecita dei tabulati e intendeva vederci chiaro.

Ma non finisce qui. L’ultima mail scambiata fra Bove ed Evangelista è del 12 luglio di quest’anno. Esattamente nove giorni prima del tragico volo dalla Tangenziale. «La mail che il dottor Bove ci inviò nel luglio scorso - dettaglia Evangelista - era la risposta ad una nostra nuova sollecitazione. Gli avevo scritto dopo aver letto sull’Espresso che aveva preso il posto di Giuliano Tavaroli in Telecom. Conoscendo la sua cortesia e professionalità, proponevo a Bove nuove forme di collaborazione con la nostra agenzia». Il messaggio restò per alcune settimane senza risposta. Poi il 12 luglio Adamo Bove scrive. Nella mail spiega ad Evangelista e Restino che nell’ambito delle sue nuove mansioni «non rientrano attività per le quali io possa avvalermi della vostra collaborazione perchè non ho facoltà di effettuare verifiche interne».

Riletto oggi, quel messaggio suona come una rivelazione: «E' mai possibile - si chiede Restino - che un manager a capo della security Telecom non avesse quei necessari poteri di controllo?». L’ipotesi è che quella nomina fosse in realtà stata svuotata di reali poteri, forse proprio in ragione dei sospetti che Adamo Bove nutriva da tempo sulla fuga dei tabulati. E molti dubbi il manager di A Zeta Antonino Restino li avanza anche sulla versione ufficiale del suicidio: «Mi sembra impossibile che un investigatore esperto come Adamo Bove, se voleva proprio porre fine alla sua vita, non lo abbia fatto con le modalità tipiche di chi fa questo mestiere, cioè rendendo palesi le ragioni del suo gesto. Un investigatore di professione non si butta giù lasciando accese le quattro frecce dell’auto...».

Perplessità, infine, sull’elenco delle società di investigazione che, come riportato dai quotidiani, lavoravano per conto di Telecom. «In Italia - dice subito Restino - esistono sei, sette importanti agenzie, riconosciute da tutti coloro che operano in questo settore. Nessuna fra queste fa parte di quell’elenco. La Polis d’istinto era nel nostro ambiente e all’interno della Federpol (la più autorevole associazione di categoria, ndr) pressochè sconosciuta, e così le altre». Il dubbio, insomma, potrebbe essere che almeno alcune, fra queste sigle, fossero state messe in piedi ad hoc? Restino annuisce. E rincara la dose: «Ancor più sorprendente è poi la lista delle somme percepite per quegli “incarichi”. Parliamo di parcelle fino a 5 milioni di euro. E siamo totalmente fuori mercato. Il fatturato medio delle principali agenzie investigative in Italia arriva a massimo uno, due milioni di euro». In un anno.

La scorciatoia per il paradiso

I Centri di formazione Elis fondati dall’Opus Dei hanno una scorciatoia diretta per il paradiso. Non si tratta di assoluzioni plenarie o benedizioni, ma del Consorzio Consel, che Elis ha fondato nel 1992 insieme a partner societari del calibro di Telecom Italia, Stet, Italcementi, Ericsson, e ancora Anas, Italtel, Italia Lavoro, Albacom, Wind, Siemens e Trenitalia, per citare solo i nomi più altisonanti. Fusioni suggellate in tempi più recenti dall’ingresso diretto di Elis nell’azionariato di uno fra questi giganti: quella stessa Tim dai cui alti ranghi proveniva un prestigioso docente dei corsi di perfezionamento Elis come Adamo Bove e Rocco Mammoliti. Attraverso un’attenta selezione dei discenti ed un’ancor più accurata scelta del corpo docente, Elis, “Attività per la formazione della gioventù lavoratrice e per la solidarietà sociale”, rende possibile ai giovani rampolli di area Opus la formazione e l’accesso diretto nei ranghi operativi delle principali aziende italiane, che per la restante parte degli aspiranti restano quasi regolarmente solo un miraggio.

Uno dei canali diretti per l’accesso è il programma Elis Fellow, «orientato al coinvolgimento a titolo di volontariato nelle attività Elis di dirigenti, quadri, docenti universitari e altri personaggi di rilievo nella società», con l’unica condizione che aderiscano al Manifesto Elis, contenente in maniera esplicita i principi formativi dell’Opus. «Il nostro compito - spiegano all’Avel, altra costola di Elis votata a rappresentare una sorta di agenzia per il lavoro - è quello di fare da trait d’union fra i nostri corsisti e le aziende alla ricerca di personale specializzato». In primis, naturalmente, quelle aderenti al Consorzio, come la stessa Telecom, in cui le carriere dei pii giovani vengono prontamente avviate con appositi stages. Ai convegni organizzati dal Centro Elis di via Sandro Sandri nella capitale non hanno fatto mancare la loro presenza, negli ultimi anni, grossi big dell’imprenditoria e della politica. Nel 2002, quando era inquilino di Palazzo Chigi, fece un salto Giuliano Amato per parlare di “Lavoro nel modello sociale europeo”. Quello stesso anno il direttore di Elis Bruno Picker (che solo qualche mese fa magnificava sulle colonne de La Stampa le nuove sinergie dei suoi centri formativi con la Rai), ebbe l’onore di ospitare il numero uno di Sviluppo Italia Carlo Borgomeo (tuttora docente, peraltro, ai Corsi Fellows), lo scomparso Gianmario Roveraro (soprannumerario Opus) in rappresentanza delle Residenze Rui, ma anche il giornalista Rai Giovanni Minoli, il presidente di Italia Lavoro Luigi Covatta e il general manager Telecom delle Risorse umane Mario Rosso. Andiamo avanti. Sempre nel 2002 ci va, fra gli altri, l’allora vertice Bankitalia Antonio Fazio; l’anno dopo il sottosegretario al Lavoro Pasquale Viespoli. Il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo si fa vedere in visita ufficiale a fine 2005 per inaugurare il nuovo anno formativo e benedire, subito dopo la Santa Messa, le solenni celebrazioni del quarantesimo anniversario dalla nascita di Elis. Sempre nel 2005 si segnalano le presenze di personalità come Vito Gamberale, Francesco Chirichigno e Mario Landolfi, quest’ultimo nella sua veste di ministro per le Telecomunicazioni. A novembre 2004 si segnala, infine, una fugace apparizione di Giuliano Tavaroli, intervenuto alla presentazione delle “corsie preferenziali” Elis Fellows in qualità di vertice Telecom.

Telecom e piduisti

C’è ancora lunga ombra della P2 in tutta la vicenda che, dalle prime indagini sul sequestro illegale di Abu Omar, conduce fino agli spioni di casa Telecom. Quell’ombra ha due nomi e cognomi. Il primo è quello di Emanuele Cipriani, l’investigatore privato amico della famiglia Gelli (vedi articolo principale), l’uomo chiave di tutta l’inchiesta della Procura milanese. Ma il secondo è quello di Marco Mancini, l’agente del Sismi arrestato l’estate scorsa proprio per il sequestro di Omar ed oggi nuovamente nell’occhio del ciclone per le amicizie - e spiate - pericolose con l’ex manager della security Telecom Giuliano Tavaroli. Negli anni '80 i brigadieri dei Carabinieri Mancini e Tavaroli lavorano insieme nel nucleo contro le brigate rosse agli ordini del colonnello Umberto Bonaventura. Trovato morto in circostante misteriose all’interno della sua abitazione romana nel 2002, alla vigilia della testimonianza decisiva sul caso Mitrokin, Bonaventura era stato lo stesso ufficiale sospettato di aver portato via dal covo di via Montenevoso, nel 1978, l’originale del memoriale di Aldo Moro.



A comandare quel reparto speciale dell’Arma anti BR era il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, la cui appartenenza agli elenchi della P2 è stata confermata dallo stesso Licio Gelli in un’intervista rilasciata alla Voce nella primavera di quest’anno. «Il nostro era un rapporto magnifico, leale - ha dechiarato il Venerabile - lui era iscritto alla P2 così come suo fratello Romolo, altro generale dei Carabinieri. Ma l’uno non sapeva dell’altro. Era la nostra regola». Quanto all’epoca del loro sodalizio, Gelli è abbastanza preciso: «Ci conoscemmo a metà anni settanta, a Roma». Prima, dunque, del periodo in cui maturò il blitz nel covo di via Montenevoso.

Torniamo a Mancini, che nel 1984 ritrova Bonaventura al Sismi e fa carriera nella sua ombra. Quando Bonaventura esce di scena Mancini, divenuto nel frattempo referente in Italia della Cia, scala il vertice dei Servizi italiani, proprio mentre l’amico Tavaroli diventa il responsabile unico della sicurezza nei colossi targati Marco Tronchetti Provera: prima Pirelli e poi Telecom. Immortalato dalla stampa internazionale sulla scaletta del velivolo militare che ha riportato in Italia la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena, Mancini e la sua divisione del Sismi rappresentavano probabilmente l’ala interna antagonista rispetto a quella guidata da Nicola Calipari. Scrive il Manifesto: «Durante il sequestro Sgrena percepimmo nettamente un contrasto all'interno del servizio, precisamente tra la prima divisione e l'ottava, quella diretta da Calipari e impegnata nelle mediazioni. Fra noi per capirci parlavamo di “Sismi 1” e “Sismi 2”. Se una partita si è giocata tra “i due Sismi”, la sparatoria di Baghdad l'ha chiusa. E Mancini è andato a prendere Giuliana, ferita. Ma un navigatore di lungo corso di quegli ambienti, che peraltro vuol bene all'ex capo della prima divisione, ci aveva avvisati fin da subito: “C'è il Sismi di Calipari e il Sismi di Mancini. E questi ultimi - diceva l'amico 007 - sono capaci di inventarsi di sana pianta un'operazione...”». Costata la vita a Nicola Calipari.

State Buora se potete…

A chi riferiva Giuliano Tavaroli l’andamento di schedature a tappeto ed acquisizioni illegali dei tabulati ad opera di spioni superpagati da Telecom? A Marco Tronchetti Provera, come sembrano ipotizzare i magistrati milanesi, o all’amministratore delegato Carlo Buora, come sostiene il difensore di Tavaroli, Massimo Dinoia? Sessant’anni a maggio, un lungo passato nel management Fiat, dopo una fugace apparizione nei ranghi alti di Benetton, a inizio anni novanta Buora fa il suo ingresso in Pirelli, dove in breve diventa l’assoluto alter ego di Tronchetti Provera, che affida al collaudato manager lo strategico compito di rappresentarlo in Olimpia, Telecom, Tim, e di tenerne alte le sorti anche dentro colossi come Rizzoli Corriere della Sera, Mediobanca, Ras, Immobiliare Unim e, più recentemente, l’Inter. E’ quasi con l’intero bagaglio di queste partecipazioni che Buora va a sedere nell’aristocratico consiglio d’amministrazione dell’Istituto Oncologico Europeo targato Umberto Veronesi, che vede schierato fra i suoi azionisti il salotto buono dell’alta finanza italiana: alle stesse Pirelli, Telecom, Mediobanca, Rcs e Ras si aggiungono infatti Capitalia, Unipol, Generali, la Milano Assicurazioni della famiglia Ligresti (quest’ultima presente anche nell’azionariato Tim), Mediolanum e la tormentata Bpi di Giampiero Fiorani. Un bel pezzo, insomma, del capitalismo “rosso”, con una spruzzatina (non di più) d’azzurro berlusconiano. Di veramente suo, Carlo Buora, non conserva ora più nulla: solo poche settimane fa, il 28 luglio di quest’anno, si è spogliato infatti dell’unica quota societaria posseduta, con la donazione al figlio Jacopo, 25 anni, della sua partecipazione in E.M.T.O. srl, la finanziaria che aveva fondato insieme alla moglie Daniela Borgogni. Quest’ultima resta presente nella sigla milanese insieme a Jacopo e alla figlia ventinovenne Francesca Buora. Ventiquattromila euro di capitale sociale, sede nel capoluogo lombardo, la società è amministrata con ampi poteri da Cinzia Dattilo, classe 1953, anche lei milanese doc, e si occupa di «acquisto, vendita e permuta di beni immobili, gestione dei propri immobili e finanziamento degli enti cui partecipa o ai quali, comunque, è interessata». A fine anni ottanta E.M.T.O. aveva incorporato l’Immobiliare Gimla, altra srl lombarda amministrata dall’anziano Roberto Filippa da Montegrotto d’Asti.

Dei recenti trasferimenti di quote e nude proprietà E.M.T.O. fra i componenti della famiglia Buora si sono occupate le fiduciarie Istifid e Compagnia Nazionale Fiduciaria spa. De minimis non curat praetor. Ha ben altro da fare, il supermanager Buora, chiamato dai giudici per spiegare cosa sapeva sul sistema di spionaggio interno alla security Telecom. Quanto ai conti svizzeri sulla Banca del Gottardo, un secco chiarimento lo ha fatto lo stesso Tronchetti Provera che, in una conferenza stampa all’indomani del ciclone giudiziario, ha difeso Buora (nominato nel frattempo vicepresidente esecutivo di Telecom): «Avevo, come il dottor Buora, un conto in Svizzera, chiuso a fine 2000. Su quel conto non è mai avvenuto niente di irregolare».

Staremo a vedere.

centrosardegna
00lunedì 5 marzo 2007 22:22
Telecom: a cosa serve un contratto?





Nella nuova era degli utenti, le imprese e le famiglie devono confrontarsi con la burocrazia delle grandi società, che spesso per la sua complessa assurdità crea delle vere e proprie truffe contro cui è impossibile difendersi.
Le compagnie di telecomunicazione in questo sono foriere dei casi di errori legali più assurdi, e spesso ci si trova a sottoscrivere dei contratti le cui clausole vengono puntualmente disattese dalla società, oltre a rivelarsi spesso vessatorie per gli utenti.
A dimostrazione di ciò basta considerare l’iter burocratico che si deve seguire per ricevere la documentazione dettagliata delle misteriose voci di spesa che compaiono nelle fatture, come quella di “ telefonate non fatturate in precedenza”. Pur richiedendo nei tempi e nei modi indicati nel contratto, di disattivare questi servizi, di cui non si è mai chiesta l’attivazione o che comunque sono mai stati utilizzati non otterrete nessuna risposta. Dopo aver reclamato con telefonate, fax, lettere raccomandate per ottenere la disattivazione di servizi mai chiesti e la restituzione delle somme pagate ingiustamente, Telecom non risponde o, quando lo fa, parla di tutt’altro!
Si passa così all’attivazione della procedura prevista dallo stesso contratto che ci autorizza a non pagare quelle voci della bolletta che non si ritengano giustificate e a spiegare con una raccomandata i motivi del nostro rifiuto. Cosa ne deriva? Innanzitutto Telecom non risponde spesso nei termini stabiliti dal contratto, facendoci credere che abbiamo ragione, ed invece, con ampio ritardo ed ermetica risposta, ci “condanna” a pagare le somme contestate…con gli interessi! In secondo luogo non prende più in considerazione i nostri reclami perché ha riscontrato…delle morosità.
Ma è logico che poi questo accada, perché se per sapere quanto e perché pagare dobbiamo aspettare una risposta che non arriva nei termini, la bolletta contestata scade e causa automaticamente la morosità. E’ un cane che si morde la coda. Inutile dire che il contratto obbliga comunque Telecom a rispondere per iscritto entro 30 giorni dal ricevimento del reclamo. E allora a cosa serve aver sottoscritto un contratto? Ad obbligare solo noi ad ogni richiesta di pagamento che Telecom ci indirizza? Non serve anche a ricordare quali sono gli obblighi a cui Telecom è tenuta nei nostri confronti? Ma la situazione è addirittura peggiorata: chiedendo di declassare la linea telefonica (cioè di registrarla come una utenza privata e non più come un’utenza commerciale) per risparmiare circa 15 euro a bolletta, Telecom naturalmente non risponde né provvede a quanto richiesto. Possiamo decidere allora di chiedere il rimborso di quanto ci spetta mediante un’azione legale e qui arriva un’altra sorpresa. Un incoraggiamento alla strategia della scorrettezza arriva a Telecom dal giudice di pace chiamato a decidere la controversia, il quale decide che…non può decidere. Già, perché secondo lui prima di citare in giudizio la società telefonica, l’abbonato deve - per contratto - attivare prima una procedura di conciliazione. E ci risiamo: il contratto ci dà ragione sulle cose che reclamiamo e Telecom non lo rispetta; chiediamo a un giudice di pace che condanni Telecom a rispettarlo e il giudice dice che siamo noi a non rispettare il contratto se non tentiamo prima la conciliazione. Informandoci su questo cavillo legale abbiamo scoperto l’assurdità di questa situazione: l’ufficio regionale incaricato di organizzare la conciliazione nella Regione NON ESISTEVA all’epoca dei fatti, e forse non esiste ancora…però la conciliazione andava fatta lì! Che ci sia una dimensione parallela per gli affari di telefonia, con uffici-fantasma e conciliatori immateriali?
Ma c’è di più: in via del tutto facoltativa si può tentare la conciliazione davanti la Camera di Commercio, con altre spese e altri mesi di attesa. Ormai pronti a tutto possiamo seguire anche questa via e qui Telecom tocca davvero il fondo. Il rappresentante di Telecom spesso non è preparato alla discussione e non sa neanche di cosa si doveva parlare. Inoltre, nonostante tutte le prove documentali (copie dei fax e delle raccomandate a/r) e l’assenza di documenti della controparte, quest’ultima non ammette neppure la più piccola mancanza: come dire…tutto regolare secondo loro! Il contratto, ormai è chiaro, non obbliga Telecom ad alcunché, ma serve solo a subire le loro angherie!
Allora, cara Telecom, noi abbiamo deciso di non pagare più le voci che non ci sembrano giustificate nelle tue bollette, come ad esempio le misteriose “telefonate non fatturate in precedenza”, l’attivazione di servizi mai chiesti, la linea “affari” invece di quella residenziale, etc. etc., senza spiegarti più nulla. Toccherà a te da adesso in poi citarci in giudizio e dimostrare che hai diritto a prenderti i nostri soldi.






I capitali russi per risolvere la crisi delle telecomunicazioni?


Le crisi e gli scandali che si sono abbattuti sulle telecomunicazioni porteranno presto a notevoli cambiamenti nei gruppi societari, a conferma che l'ago della bilancia del potere sta veramente mutando a favore dei nuovi capitalisti emergenti. D'altro canto, il clima di instabilità politica che si abbatte sui governi non ferma certo le manovre di risiko societario tra i grandi operatori delle reti, e per certi aspetti accelera la chiusura di molti accordi rimasti in sospeso.

In Italia si stanno alternando vari eventi, che portano tutti verso la destabilizzazione dell'equilibrio società-potere per consentire l'ingresso di nuovi operatori che premono con accordi e trattative riservate. Protagonista è come sempre Telecomitalia, che, dopo aver superato il ciclone degli scandali delle intercettazioni che avrebbe portato alla cessione di TIM oltre che ad un piano di totale ristrutturazione del gruppo, ha aperto le trattative per la cessione di parte dell'azionariato di Olimpia ad un operatore estero, ed in particolare alla spagnola Telefonica, mantenendo solo sul piano probabilistico l'accordo con il gruppo russo Sistema AFK.
Arriva ieri tuttavia un brusco stop da parte di Telefonica, che congela per il momento gli accordi per acquisire parte delle partecipazioni di Olimpia, e sollevare Tronchetti Provera dai debiti che ha verso le Banche. Non dimentichiamo che le Banche, su Telecomitalia, sono sempre in prima linea perché grazie al loro credito di 40 miliardi possono arrivare a conquistare un potere che non ha eguali, una vera intelligence di informazioni riservate. Intesa Sanpaolo sta cercando di portare a termine la fusione tra Mittel e la Hopa, che possiede circa il 3,7% di Telecom, mentre diventa sempre più attuale la probabilità di un'entrata di Santintesa in Olimpia con il 20% di capitale.
L'interruzione improvvisa degli accordi con Telefonica sono stati motivati dal timore per l'instabilità politica italiana, che metterebbe in discussione anche la stabilità del gruppo.
Le perplessità di Telefonica a nostro parere sono immotivate perché è stato ufficialmente reso pubblico l'accordo tra il governo italiano e quello spagnolo per l'acquisto di Endesa da parte di Enel, a fronte della cessione di Autostrade ad Abertis: mentre viene rilanciata al 25% l'offerta di acquisto del capitale di Endesa, Banca Craixa, azionista di Abertis, acquista il 2% in Autostrade. Tra le due offerte esiste sicuramente reciprocità, ed un vero accordo si è avuto proprio grazie a quella crisi di governo che ha costretto tutti i piccoli partiti a firmare un vero patto di stabilità e ha tenuto impegnato molti dei personaggi che prendevano forse "troppo sul serio" il loro ruolo.
Se i timori di Telefonica sono fondati, temendo di essere stata un diversivo dell'unione tra Spagna e Italia per consentire una certa riservatezza sull'accordo Autostrade-Enel, allora forse esistono altri operatori che con grande discrezione stanno prendendo accordi con Telecomitalia.
A questo punto potrebbe andare alla ribalta il gruppo russo Sistema, il cui nome non è stato più pronunciato dal momento dell'inizio delle trattative con Telefonica, ma rappresenta una controparte da non sottovalutare perché è un gruppo finanziario che ingloba al suo interno un vasto portafoglio di attività: distribuzione commerciale, immobiliare, bancario, energia, assicurazione. Sistema, gruppo diretto dal miliardario Vladimir Evtouchenkov che controlla anche l'operatore MTS, infatti sarebbe interessata dall'acquisizione di una partecipazione minoritaria in Telecom Italia, che comprerebbe tramite Pirelli che intende cedere la partecipazione minoritaria che detiene direttamente in Telecomitalia - oltre all'80% di Olimpia, holding che controlla Telecom.
Allo stesso modo, Sistema ha lasciato intendere di voler acquisire, attraverso la controllata Sitronics, una partecipazione rilevante in Deutsche Telekom , anch'essa fortemente indebitata e con un utile in crescente contrazione. A fronte di un acquisto di 600 milioni di azioni, acquistando così il 25% del capitale di Deutsche Telekom, cederebbe MTS, prima nel settore delle telecomunicazioni russe. Un'operazione questa che sarebbe possibile solo se il governo tedesco, che controlla il 30% di Deutsche Telekom tramite la banca pubblica KfW, accettasse i capitali russi, cosa alquanto difficile vista la situazione di freddo che si è venuta a creare a causa della crisi energetica.
Inoltre Alfa Group, il primo gruppo privato russo con interessi anche nel settore petrolifero, insieme con Sistema AFK, sarebbe pronto ad acquisire delle partecipazioni in un operatore occidentale o creare una filiale comune con un partner. Mikhail Fridman avrebbe l'intenzione di acquisire il 20% del capitale di Vodafone, e il 10% in Telekom France, nel tentativo di aprire in ogni stato un punto di riferimento per il monitoraggio del mercato europeo nel suo complesso.

Le telecomunicazioni si apprestano ad essere controllate da forti operatori internazionali, per lo più Banche, che possono così consolidare un certo ruolo politico all'interno dell'economia europea, e da un insieme di regolamenti uniformi a livello europeo, sul cui rispetto vigilerà un'Authority paneuropea.

Il piano della Commissione Europea prevede l'istituzione di un'Authority paneuropea di controllo e vigilanza del settore e dell'attuazione negli Stati membri delle norme comunitarie, per creare un sistema europeo di regolatori indipendenti. Le Authority nazionali sulle telecomunicazioni verrebbero in ogni caso inglobate all'interno del progetto paneuropeo, come le regole tariffarie, la concessione delle licenze, le condizioni contrattuali, saranno disciplinate dalle direttive comunitarie. Notevoli dubbi su tali misure sono state già sollevate dagli stessi parlamentari che temono la creazione di cartelli tra le compagnie telefoniche che possano poi influenzare la stesura della direttive, o comunque falsare i meccanismi di concorrenza.

centrosardegna
00mercoledì 8 agosto 2007 17:25
Telecom, la grande truffa fiscale, scatta una multa da 1,6 miliardi
Nel marzo 2003 accertamenti fiscali danno esito negativo
Chi li esegue è oggi al centro della partita tra Visco e il geneale Speciale







Nell'estate del 2001, la cessione a Marco Tronchetti Provera del pacchetto azionario di controllo di Telecom Italia ha sottratto al Fisco 600 milioni di euro, (1.266 miliardi delle vecchie lire). E per l'amministrazione delle Finanze, è arrivato il tempo che quel denaro rientri nelle casse dell'Erario.

L'Agenzia delle entrate ha notificato un avviso di accertamento fiscale ai soci e agli amministratori pro-tempore della società "Bell", la cassaforte lussemburghese del finanziere bresciano Emilio Gnutti che di Telecom aveva il controllo e attraverso cui ne venne perfezionata la vendita. Sei anni fa, i soci di "Bell" raccolsero dalla transazione plusvalenze esentasse per 2 miliardi di euro (3.500 miliardi delle vecchie lire). Dovranno ora versare 600 milioni di euro a titolo di "maggiore imposta" evasa e 1 miliardo di euro "a titolo di sanzioni". Quell'esenzione non gli spettava, perché Bell era una società italiana a tutti gli effetti, e fu ingiustamente favorita.

"Considerata l'entità del danno erariale, nonché la distrazione del patrimonio sociale di "Bell" - scrive l'Agenzia delle entrate nel provvedimento - si rende opportuna l'iscrizione di ipoteca sui beni dei trasgressori e dei soggetti obbligati in solido, con conseguente sequestro dei loro beni, compresa l'azienda".

Tali misure cautelari dovrebbero essere effettuate anche nei confronti dei soci di Bell. In particolare, di "Hopa spa" e "GP Finanziaria spa" (entrambe controllate da Gnutti ndr.), i maggiori ed effettivi beneficiari della distrazione del patrimonio sociale".
Un miliardo e seicento milioni di euro (tremila miliardi, 292 milioni 371 mila 654 lire, nel computo dell'Agenzia delle Entrate) è un fiume di denaro. Lo 0,1% del Pil del nostro Paese.

Eppure, per quattro anni, l'amministrazione finanziaria che rispondeva al ministro dell'economia Giulio Tremonti ha rinunciato alla sua riscossione. Perché? La risposta è in una storia che, con l'evidenza dei documenti di cui "Repubblica" è in possesso, ricostruisce le mosse di un network di professionisti, dirigenti pubblici, militari della Guardia di Finanza di Milano che intorno a questo tesoro si è mosso, garantendone l'immunità fiscale. Vi si rintracciano significativamente alcuni protagonisti della partita mortale ingaggiata a partire dall'estate del 2006 con il viceministro Vincenzo Visco da un blocco di alti ufficiali della Guardia di Finanza con l'appoggio del centrodestra.

I fatti, dunque.

2001. Tronchetti ha acquistato Telecom comprando da "Bell" il 22,5 per cento delle azioni Olivetti che ne garantiscono il controllo. "Bell" è una holding con sede legale al 73 di Cote d'Eich, Lussemburgo. La controlla "Hopa spa", la finanziaria di Gnutti, la "bicamerale della finanza", in cui siedono tra gli altri il Montepaschi di Siena, Fininvest e l'Unipol di Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti. A quella data, soci di "Bell" sono "Gpp International Sa" (a sua volta controllata per il 100 per cento da Hopa), "Gp finanziaria spa" (dello stesso Gnutti), "Interbanca spa", "Banca Antoniana popolare veneta", Chase Manhattan International, "Oak fund", "Financiere Gazzoni Frascara", "Finstahl", "Tellus srl", "Pietel srl", "Autel srl.", Ettore, Fausto e Tiberio Lonati, "Bc com" e gli stessi "Montepaschi" e "Unipol".
"Bell" non è stata nulla di più che una cassaforte in cui sono rimaste custodite le azioni di controllo Olivetti-Telecom. Esaurita la sua funzione, può essere svuotata e abbandonata. Come documentano i libri societari, nel novembre 2001, con la distribuzione ai soci dei 2 miliardi di euro di plusvalenze Telecom, il patrimonio netto della società scende a poco più di 34 milioni di euro, impiegati per "l'estinzione dei debiti contratti".

Di fatto, è una messa in liquidazione. Di cui ha la sostanza, ma non la forma. Perché, contabilmente, Bell deve continuare ad esistere. E' l'unico modo, infatti, per far rientrare in Italia i capital gain in regime di esenzione fiscale e aggirare le norme che vietano, anche in Lussemburgo, di ridistribuire utili di una società in liquidazione. La mossa soddisfa gli appetiti di tutti. Solleva soprattutto la cortina di fumo in cui Guardia di Finanza prima e Agenzia delle entrate, poi, possano volontariamente smarrirsi. E' ciò che accade di lì a breve.

Il 26 marzo del 2003, a Milano, dodici militari della Guardia di Finanza bussano in via dei Giardini 7, studio legale "Freshfields Bruckhaus Deringer", domicilio fiscale dichiarato dalla "Bell". Appartengono alla "quarta sezione" del "Primo gruppo Verifiche Speciali" del nucleo regionale di polizia tributaria della Lombardia. Devono accertare se i 2 miliardi di euro di plusvalenze della vendita Telecom non siano stati sottratti alla tassazione attraverso una "esterovestizione", come, con termine tecnico, viene definita la fittizia localizzazione all'estero della residenza fiscale di una società che, al contrario, ha di fatto la sua attività e persegue il suo oggetto sociale in Italia. L'accertamento su Bell è l'unica opportunità rimasta al Fisco per ficcare il naso in quella transazione, perché su "Hopa" (che controlla Bell) è sceso il buio del "condono tombale" (2002) cui Gnutti ha immediatamente aderito.

Il lavoro dei finanzieri porta via quattro mesi. In un contesto significativo. Nel 2003, lo spoil-system del centro-destra ha finito di ridisegnare la macchina della lotta all'evasione. Giulio Tremonti, ministro dell'economia, si è liberato del direttore generale dell'Agenzia delle entrate, Massimo Romano, apprezzato civil servant e architetto della riforma fiscale. Al suo posto ha voluto Raffaele Ferrara, un ex ufficiale della Guardia di Finanza legato a doppio filo con Marco Milanese, altro ex ufficiale scoperto da Tremonti a Milano e diventato capo della sua segreteria politica.

Ferrara (legato al direttore del Sismi Nicolò Pollari) arriva al vertice dell'Agenzia delle Entrate dalle Ferrovie del dopo Necci, dove ha lavorato per la società "Metropolis". Esattamente come Marco Di Capua, che diventa direttore dell'Accertamento dell'Agenzia delle Entrate a spese di William Rossi. Come e più di Ferrara, forse, Di Capua conta ancora molto nella Guardia di Finanza. E non solo lì, visto che il fratello, Andrea, altro ex ufficiale, è stato chiamato al Sismi da Nicolò Pollari per dirigere l'ufficio del personale.

Nella sua direzione "Accertamento", Di Capua ha aggregato Graziano Gallo, "dottore commercialista in Milano", cui è affidato l'incarico di responsabile dei "controlli sulle imprese di grandi dimensioni". Anche lui ha vestito l'uniforme della Guardia di Finanza, come il padre: il colonnello Salvatore Gallo, annotato negli elenchi della loggia P2 con tessera numero 933.
Le acque non si sono mosse soltanto a Roma. A Milano, è stato avvicendato il vertice della Guardia di Finanza. Il nuovo comandante del nucleo regionale di polizia tributaria è Stefano Grassi, che ha sin lì lavorato nell'ufficio dell'aiutante di campo del ministro Tremonti. Mentre nuovo comandante regionale è il generale Emilio Spaziante, altro "pollariano" di ferro, già capo dell'intelligence delle Fiamme Gialle, futuro capo di Stato maggiore e vicesegretario del Cesis, motore primo, nell'estate del 2006, dell'affare Visco-Speciale.

Ma torniamo ai nostri dodici finanzieri e alla loro verifica su "Bell". A scorrerne i nomi, ce n'è uno oggi più conosciuto di altri. Guida la squadra. E' il tenente colonnello Virgilio Pomponi. E' arrivato a Milano nel 2002 come "capo delle operazioni" del Nucleo regionale di polizia tributaria, ufficio che risponde direttamente al generale Spaziante, ed è destinato ad assumere presto il comando del nucleo provinciale di polizia tributaria. Soprattutto, è destinato a finire al centro dell'affare Visco-Speciale, perché nella lista degli ufficiali di Milano di cui, nell'estate 2006, verrà chiesto l'avvicendamento. Di Pomponi, alcune cronache diranno che il suo allontanamento da Milano avrebbe prodotto "contraccolpi nelle indagini su Unipol e la lussemburghese Bell, nemmeno valutabili" nella loro gravità. E' un fatto che se ad oggi non è dato sapere quale contributo investigativo personale l'ufficiale abbia dato alle due indagini, sono al contrario documentabili le conclusioni che il primo agosto 2003, rassegna nel "verbale di constatazione" che chiude appunto il primo accertamento su "Bell".

Il Fisco - osserva il tenente colonnello - non ha argomenti, né "evidenze probatorie" per aggredire Bell. Che - scrive - "ad avviso di codesto comando regionale" è e resta una "Societé de partecipation financières" di diritto lussemburghese. La sede della sua amministrazione e l'oggetto della sua attività sociale sono cioè regolarmente radicate in Lussemburgo. Il che la rende soggetta alla locale legislazione fiscale, che prevede l'esenzione sulle plusvalenze ottenute dalla cessione di partecipazioni azionarie. Eppure, sembrano esistere ottime ragioni per sostenere il contrario. Sulla scorta di 193 documenti acquisiti nello studio "Freshfields Bruckhaus Deringer", l'ufficiale dà atto, infatti, che "Bell appare essere sempre stata priva di proprio personale e di propri beni strumentali in Lussemburgo". Che "la maggioranza dei suoi soci ha residenza in Italia". Che lo studio legale "Freshfields Bruckhaus Deringer" di Milano "non si è limitato all'esame delle questioni legali riguardanti la società, ma ha predisposto le assemblee sociali e le riunioni del cda, redigendone ordini del giorno e verbali; ha steso contratti e accordi tra i soci; ha partecipato a riunioni dell'assemblea Olivetti e alla sottoscrizione di atti" ha lavorato ad operazioni cruciali in stretto contatto non con un ufficio in Lussemburgo, ma con un telefono di Brescia: quello della "signora Maurizia Gallia", segretaria di Gnutti.

Dunque? Le ragioni di "Bell" vengono argomentate dall'avvocato Dario Romagnoli e da Claudio Zulli. Non sono due professionisti qualunque. Romagnoli ha diviso il suo studio di diritto tributario ("Vitali-Romagnoli-Piccardi) con Giulio Tremonti fino al giorno in cui non è stato nominato ministro dell'economia. È anche lui un ex ufficiale della Guardia di Finanza ed è stato compagno di corso di Marco Milanese, che di Tremonti è capo della segreteria. Zulli è il commercialista di Gnutti, ma anche lui ha ottimi rapporti con il ministro. Come, nell'estate del 2005, documenta l'intercettazione telefonica di un suo colloquio con Consorte (nei giorni chiave della scalata Bnl, il numero uno di Unipol lo chiama per chiedere un incontro con Tremonti. "Devo ringraziarlo di due o tre cosette e gli devo spiegare un po' di roba perché mi deve dare una mano su cose importanti").

Per il comando regionale della Guardia di Finanza, Romagnoli e Zulli hanno argomenti irresistibili. In una memoria che diventa parte integrante del verbale, i due professionisti scrivono: "Bell non ha, né ha mai avuto residenza fiscale in Italia (...) il consiglio di amministrazione si è sempre riunito in Lussemburgo. L'assemblea dei soci si è sempre riunita all'estero (...) Nessuno dei soci ha mai esercitato il controllo della società (...)". Conclude dunque Pomponi: "Gli elementi raccolti hanno messo in luce, da un lato indici di collegamento diretto di Bell con il territorio dello Stato italiano, dall'altro che l'intera attività di amministrazione/gestione ordinaria e le principali decisioni straordinarie appaiono formalmente essere state poste in essere all'estero. Pertanto, a parere di questo Comando, non si ravvisa un quadro probatorio tale da far ritenere che Bell debba ragionevolmente ritenersi residente in Italia sotto il profilo fiscale".

Il 4 agosto 2003, il caso è chiuso. E, per quel che racconta alla Procura di Milano l'ex numero uno della Banca Popolare, Giampiero Fiorani, l'operazione costa ad Emilio Gnutti 25 milioni di euro. Li versa all'avvocato Romagnoli a titolo di parcella professionale. Uno sproposito, che Romagnoli nega negli importi (l'avvocato ha sempre sostenuto, di aver ricevuto "non più di 5 milioni di euro") e che Fiorani imputa a complessivo saldo del salvataggio fiscale di Bell, aggiungendo che per lui, come per Gnutti, dire studio Romagnoli significava dire Tremonti. Che Fiorani affermi o meno il vero, è un fatto che nel bilancio 2005 di Bell (l'anno, vedremo, è significativo) compare nelle voci a debito un'annotazione per 31 milioni di euro da saldare con Romagnoli e Zulli. Ed è un fatto che, esaurito il capitolo Guardia di Finanza, la pratica soffochi nelle spire dell'Amministrazione civile delle Finanze.

Il verbale di accertamento delle Fiamme Gialle su "Bell" viene trasmesso all'ufficio 1 dell'Agenzia delle Entrate di Milano, dove verrebbe dimenticato se non fosse per la notizia ricevuta il 25 febbraio 2004 dai pm di Milano Mannella e Nocerino che su Bell esiste un'istruttoria per evasione fiscale. Il 16 luglio 2004 - giorno in cui Domenico Siniscalco giura da ministro dell'Economia (Giulio Tremonti di era dimesso il 3) - l'Ufficio 1 di Milano scrive alla Procura: "Non sussistono prove sufficienti per affermare che Bell possa essere considerata fiscalmente residente in Italia. Pertanto, salvo che a seguito di più incisive attività istruttorie di codesta procura, non emergano elementi tali da condurre a soluzioni diverse, lo scrivente ufficio provvederà all'archiviazione". La pratica muore. Finché, aprile 2005, la Procura, che a sua volta sta per archiviare, torna a sollecitare.

L'ufficio 1 - è ormai giugno 2005 - interpella la Direzione regionale. Che impiega cinque mesi per stabilire che è necessario se la sbrighino a Roma, alla Direzione generale accertamento, quella di Marco Di Capua. La risposta arriva il 23 dicembre del 2005, quando Tremonti è ormai tornato a fare il ministro. La Direzione Accertamento informa di "essere già stata interessata dalla Procura di Milano" e di aver provveduto a individuare dei "consulenti" per i pm Mannella e Nocerino: il "dottor Pasquale Cornio", capo dell'ufficio soggetti grandi dimensioni area nord e il "dottor Graziano Gallo", capo settore nazionale dell'accertamento sulle grandi imprese. Il 10 aprile 2006, i due periti così concludono con la Procura: "I redigenti ritengono che la Bell sia da considerarsi fiscalmente residente in Italia secondo le regole di diritto interno". E tuttavia, "che difficilmente possa considerarsi residente fiscalmente in Italia secondo le regole di diritto convenzionale, prevalenti su quelle di diritto interno. Non essendo stati reperiti elementi sufficienti a dimostrare che la direzione effettiva della società abbia avuto sede in Italia".

Gnutti e soci sono salvi. Un'ultima volta. Ad aprile del 2006, al ministero torna Visco. La Procura di Milano decide di proseguire la propria istruttoria. All'agenzia delle entrare riacquistano i loro uffici Massimo Romano e William Rossi. La pratica Bell esce dall'archivio. A Milano deflagra il "caso Visco-Speciale".
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