la strage di Brescia - articolo sul Manifesto
politica & società
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A 34 anni dalla strage e dopo due processi finiti in nulla, il gup ha rinviato a giudizio sei indagati. Tra questi anche Pino Rauti e l'ex comandante dei carabinieri Francesco Delfino
Brescia, nuovo processo per piazza della Loggia
GIORGIO SALVETTI
Milano
Dopo 34 anni, 8 processi e 2 inchieste, il gup Lorenzo Benini di Brescia ha rinviato a giudizio sei indagati per la strage di piazza della Loggia. E così il 25 novembre un nuovo processo inizierà davanti alla Seconda Corte d'Assise di Brescia. Sotto accusa Delfo Zorzi, Maurizio Tramonte, Carlo Maria Maggi, Francesco Delfino, Giovanni Maifredi e Pino Rauti. «Siamo soddisfatti - ha dichiarato Roberto Di Martino, il procuratore aggiunto di Brescia che con il sostituto Francesco Piantoni ha condotto le indagini - soprattutto perchè Brescia potrà avere una nuova chance di risolvere questa questione, comunque vada, perchè il processo si profila comunque molto difficoltoso».
Il 28 maggio 1974, durante una manifestazione antifascista, una bomba uccise 8 persone e ne ferì 108 proprio mentre Franco Castrezzati a nome di Cgil-Cisl-Uil stava dicendo «La Costituzione, voi lo sapete, vieta la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista...». Da allora si sono succeduti ben 10 diversi pronunciamenti giudiziari in tutti i gradi di giudizio. Il risultato è stato sempre un nulla di fatto. Adesso si ricomincia. Il gup ha ritenuto ammissibile la tesi accusatoria di questa terza indagine iniziata nel 2000 con la richiesta di arresto di Delfo Zorzi (bocciata dal gip ma poi recuperata nel 2005 dalla Cassazione), che ha ormai raccolto oltre 750 mila pagine di atti. Gli inquirenti, ancora una volta, ribadiscono ciò che più o meno tutti da sempre sospettano: si è trattato di un attentato neo-fascista quanto meno coperto da apparati deviati dello Stato. Secondo gli inquirenti, Delfo Zorzi, il celebre militante di Ordine Nuovo già accusato ma sempre assolto per la strage di piazza Fontana e fuggito in Giappone, sarebbe stato il braccio dell'azione stragista. Sarebbe stato lui organizzare l'attentato insieme all'altro ordinovista veneto, Carlo Maria Maggi. Maurizio Tramonte, autista del ministro Taviani e agente dei servizi, sarebbe il tramite tra i neo-fascisti e gli apparati dello stato. Giovanni Maifredi sarebbe la persona che avrebbe custodito l'ordigno poi affidato a Giovanni Mellioli, ordinovista di Rovigo morto negli anni '90.
Le vere novità di questo processo riguardano Francesco Delfino e Pino Rauti, ex leader di Ordine Nuovo ed ex segretario del Movimento Sociale-Fiamma Tricolore. Secondo gli inquirenti, Rauti non avrebbe potuto non essere informato dell'attentato. Ma la figura chiave è Delfino, fino a ieri intoccabile. Delfino all'epoca della strage era il comandante del Nucleo investigativo dei carabinieri che fra le altre cose ordinò l'immediata pulitura della piazza da parte dei vigili del fuoco con conseguente cancellazione delle prove. Poi diresse le indagini della prima istrutturia che solo nel 1982 finì in condanne poi annullate dalla Cassazione. Il secondo processo si concluse nel 1989 con assoluzioni per insufficienza di prove. Per l'accusa Delfino depistò le indagini e addirittura partecipò a incontri per la preparazione dell'attentato. Venne incriminato per aver ricevuto illegalmente dei soldi nel corso del sequestro Soffiantini ma ottenne 5 milioni di risarcimento nel '94 proprio perché Manlio Milani, presidente dell'associazione delle vittime, lo aveva ritenuto un depistatore. Esattamente l'accusa di cui tra qualche mese dovrà rispondere davanti al tribunale. Il gup nell'accogliere la richiesta del suo rinvio a giudizio ha dimostrato coraggio e ha segnato una svolta nelle lunghissime vicende processuali seguite alla strage. «Siamo di fronte a un giudice che è stato assolutamente indipendente - ha commentato il procuratore De Martino - che non si è fatto condizionare da precedenti sentenze».