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  • ratzi.lella
    00 16/03/2007 17:26
    grazie emma
    straordinario intervento di questo blogger!!!
    e' vero: l'opera di benedetto sara' ricordata per molto, molto, tempo perche' ridara' basi ad una chiesa che lo stesso cardinale ratzinger ha descritto come una barca che fa acqua da tutte le parti.
    il buon restauratore benedetto sta riparando le falle: silenziosamente, pazientemente ma inesorabilmente!
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    Paparatzifan
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    00 17/03/2007 19:49
    Re:

    Scritto da: emma3 16/03/2007 15.15
    il parere di un blogger:

    chiesadomestica.splinder.com/post/11303084


    Riporto il testo del blog:

    Quando la colf è il Papa

    “Se la chiesa è l’avanguardia progressista”, così avrei voluto intitolare questo post se non fosse stato per il fatto che il termine progressista, con il suo contrario reazionario, mi provochi un senso di fastidio profondo. Sarà per le stupidaggini che si sono incrostate sulla loro pelle nel corso degli ultimi due secoli. Povere parole sommerse dalle idiozie che le ideologie hanno sistematicamente elaborato! Ho profondo rispetto per le parole perché amo colui che è la Parola incarnata e vivente, Cristo nostro Redentore, e quando vedo le sue “figlie” così bistrattate me ne dispiaccio.

    Ma veniamo al punto. L’opera di Benedetto XVI è immensa. Nei secoli a venire sarà ricordata a lungo, perché essa garantirà ancora lunga vita alla chiesa. E’ come quando in una casa in disordine si fa pulizia. Ogni oggetto viene rimesso al suo posto e tranne che per alcuni che dimostrano oramai di essere datati e finiscono nella pattumiera, gli altri continueranno a sopravvivere vivificati da una nuova luce. Certo l’operazione non è indolore ma va ricordato che il primo a farne le spese è colui che decide di avviare l’operazione. Per prima cosa è costretto a dismettere gli abiti della festa per indossare quelli dell’operaio, poi deve munirsi degli attrezzi e di tanta pazienza. Respirerà tanta polvere e gli acari banchetteranno sulla sua epidermide. Oggigiorno siamo poco abituati a fare le pulizie. Abbiamo delegato questo compito agli stranieri che giungono nel nostro paese e noi viviamo di rendita indossando i panni dei guastatori e confidando nella bontà mai sufficientemente retribuita di chi fa le pulizie all’interno della nostra casa.

    Così è per la fede, ci sono cattolici che si divertono ancora a sperperare il patrimonio accumulato nel corso dei secoli, indossando i panni dei modernisti e progressisti e dando luogo a perniciose contaminazioni e sozzure. Non vogliono più assumersi la responsabilità delle pulizie, di rimettere ogni cosa al suo posto. Oramai nel porcile che hanno creato ci si sentono a loro agio.

    Ma succede che lo Spirito Santo abbia deciso di mettere sulla cattedra che fu di Pietro, un uomo che ha la vocazione della colf e non teme di sporcarsi le mani. Ebbene quest’uomo ha deciso di andare a fondo con le pulizie, non usa il piumino danzando in punta di piedi sul Brindiamo della Traviata, toccando con leggerezza qui e lì qualche oggetto impolverato. Lui prima sposta i mobili, li mette alla luce del sole perché si ricordino di essere stato un giorno legno e riacquistino vigore, svuota le stanze, imbianca nuovamente i muri e poi una volta asciutta la vernice rimette ogni cosa al posto che gli compete. Tanto che alla fine la sua più che una pulizia è una vera e propria ristrutturazione. E il tutto a prezzo zero, gratuitamente.

    Preghiamo per lui, sosteniamolo nelle sue battaglie, schieriamoci al suo fianco nella difesa della famiglia. Chi di voi è così folle da lasciare che la propria casa venga sommersa dalla sporcizia e dai cattivi odori? Questo è il vero senso della restaurazione, scansare le tende e aprire le finestre per fare entrare la luce del sole. E’ così che Anna, la ragazza polacca che viene a casa ad aiutarci, inizia il suo lavoro. Potrei dire di lei che non è progressista solamente perché cerca di rimettere ogni volta in ordine il caos della mia scrivania?

    Alberico
    Papa Ratzi Superstar









    "CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
  • Discipula
    00 18/03/2007 14:43
    Re: Re:

    Scritto da: Paparatzifan 17/03/2007 19.49

    Riporto il testo del blog:

    Quando la colf è il Papa

    “Se la chiesa è l’avanguardia progressista”, così avrei voluto intitolare questo post se non fosse stato per il fatto che il termine progressista, con il suo contrario reazionario, mi provochi un senso di fastidio profondo. Sarà per le stupidaggini che si sono incrostate sulla loro pelle nel corso degli ultimi due secoli. Povere parole sommerse dalle idiozie che le ideologie hanno sistematicamente elaborato! Ho profondo rispetto per le parole perché amo colui che è la Parola incarnata e vivente, Cristo nostro Redentore, e quando vedo le sue “figlie” così bistrattate me ne dispiaccio.

    Ma veniamo al punto. L’opera di Benedetto XVI è immensa. Nei secoli a venire sarà ricordata a lungo, perché essa garantirà ancora lunga vita alla chiesa. E’ come quando in una casa in disordine si fa pulizia. Ogni oggetto viene rimesso al suo posto e tranne che per alcuni che dimostrano oramai di essere datati e finiscono nella pattumiera, gli altri continueranno a sopravvivere vivificati da una nuova luce. Certo l’operazione non è indolore ma va ricordato che il primo a farne le spese è colui che decide di avviare l’operazione. Per prima cosa è costretto a dismettere gli abiti della festa per indossare quelli dell’operaio, poi deve munirsi degli attrezzi e di tanta pazienza. Respirerà tanta polvere e gli acari banchetteranno sulla sua epidermide. Oggigiorno siamo poco abituati a fare le pulizie. Abbiamo delegato questo compito agli stranieri che giungono nel nostro paese e noi viviamo di rendita indossando i panni dei guastatori e confidando nella bontà mai sufficientemente retribuita di chi fa le pulizie all’interno della nostra casa.

    Così è per la fede, ci sono cattolici che si divertono ancora a sperperare il patrimonio accumulato nel corso dei secoli, indossando i panni dei modernisti e progressisti e dando luogo a perniciose contaminazioni e sozzure. Non vogliono più assumersi la responsabilità delle pulizie, di rimettere ogni cosa al suo posto. Oramai nel porcile che hanno creato ci si sentono a loro agio.

    Ma succede che lo Spirito Santo abbia deciso di mettere sulla cattedra che fu di Pietro, un uomo che ha la vocazione della colf e non teme di sporcarsi le mani. Ebbene quest’uomo ha deciso di andare a fondo con le pulizie, non usa il piumino danzando in punta di piedi sul Brindiamo della Traviata, toccando con leggerezza qui e lì qualche oggetto impolverato. Lui prima sposta i mobili, li mette alla luce del sole perché si ricordino di essere stato un giorno legno e riacquistino vigore, svuota le stanze, imbianca nuovamente i muri e poi una volta asciutta la vernice rimette ogni cosa al posto che gli compete. Tanto che alla fine la sua più che una pulizia è una vera e propria ristrutturazione. E il tutto a prezzo zero, gratuitamente.

    Preghiamo per lui, sosteniamolo nelle sue battaglie, schieriamoci al suo fianco nella difesa della famiglia. Chi di voi è così folle da lasciare che la propria casa venga sommersa dalla sporcizia e dai cattivi odori? Questo è il vero senso della restaurazione, scansare le tende e aprire le finestre per fare entrare la luce del sole. E’ così che Anna, la ragazza polacca che viene a casa ad aiutarci, inizia il suo lavoro. Potrei dire di lei che non è progressista solamente perché cerca di rimettere ogni volta in ordine il caos della mia scrivania?

    Alberico



    bellissimo! [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811]
  • Discipula
    00 18/03/2007 14:56
    Abbiamo ripreso il Discorso di Martini sulla famiglia. E vi abbiamo riflettuto

    di don Antonello Iapicca, curatore del blog I segni dei tempi

    Nella recente intervista concessa da Betlemme, il Cardinal Martini faceva riferimento ad un suo intervento del 2000: « Ricordo che avevo fatto un discorso di Sant'Ambrogio, sarebbe da riprendere oggi». Vi metteva in guardia dal «panico d'accerchiamento » e dal «tentativo di imporre come d'autorità una nostra concezione della famiglia ». Noi abbiamo ripreso quel discorso e lo presentiamo. Ci è sembrato illuminante per diversi aspetti.

    In primo luogo non possiamo non registrare la profonda diversità nell'approccio al tema della famiglia tra il Card. Martini e Benedetto XVI. Abbiamo ad esempio provato a contare le volte che ricorre la parola Gesù nel lungo discorso dell'Arcivescovo Emerito di Milano ed il numero si è fermato desolatamente a cinque. La Sacra Famiglia è completamente assente. Un lettore ignaro dell'autore stenterebbe a identificarlo in un Pastore della Chiesa. Si tratta di una lucida ma freddissima analisi socio-politico-economica della famiglia. Un discorso che traduce la quotidiana intercessione del Card. Martini confidata nell'intervista: " che ci sia dato, anche come Chiesa italiana, di dire quello che la gente capisce: non un comando dall'alto che bisogna accettare perché è lì, viene ordinato, ma come qualcosa che ha una ragione, un senso, che dice qualcosa a qualcuno... ".

    Qui s'innesta la seconda riflessione. Leggendo il testo, e ponendolo accanto ai tanti altri interventi del Cardinale in tema di eutanasia, famiglia, vita, fecondazione, Aids etc, possiamo senz'altro dedurre l'idea che Egli ha della missione della Chiesa: un'interfono capace di intercettare i sentimenti e i bisogni della gente, cui consigliare qualcosa di ragionevole, comprensibile, commestibile. La Chiesa come una sorta di grande, paterna, pacca sulla spalla: "Bisogna farsi comprendere ascoltando anzitutto la gente, le loro necessità, problemi, sofferenze, lasciando che rimbalzino nel cuore e poi risuonino in ciò che diciamo, così che le nostre parole non cadano come dall'alto, da una teoria, ma siano prese da quello che la gente sente e vive, la verità dell'esperienza, e portino la luce del Vangelo". Ci vengono in mente le parole di Gesù a Nicodemo: " Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo?" (Gv. 4,12). La parola della Chiesa non può che essere la stessa di Gesù: rinascere, convertirsi, credere all'amore di Dio capace di trasformare la morte in vita. L'annuncio del Mistero Pasquale del Signore è sì una parola che cade dall'alto, ma che, come il seme gettato dal seminatore, è destinata a dare frutti che conducono al Cielo. Una parola capace di trasformare l'esistenza, di incarnarsi laddove l'uomo si trova, e trascinarlo con sé in una vita nuova. La Chiesa mostra il volto di Cristo, il Cielo sulla terra, non si limita a registrare le situazioni per offrire un analgesico compromesso. I principi non negoziabili derivano direttamente dall'annuncio del Vangelo. Invece il Card. Martini sostiene che " è importante anzitutto non lasciarsi dominare dal panico da accerchiamento e da recriminazioni senza frutto. Sappiamo infatti che il tentativo di imporre come d'autorità e in maniera univoca e uniforme una nostra concezione della famiglia alla società civile europea sarebbe visto come una pretesa di parte e contribuirebbe probabilmente a radicalizzare i conflitti e a degradare ulteriormente il costume. Chi potrebbe oggi sostenere che, per affermare i valori che ci stanno a cuore, basterà una opposizione frontale alle trasformazioni in atto e un'obiezione di coscienza di fronte ad ogni intervento legislativo che accetti di misurarsi con le questioni poste da un nuovo e discutibile costume?". Il compromesso e la mediazione sembrano essere le vie indicate dal Cardinale, in questo " tempo propizio per declinare la nostre ragioni in uno spirito di dialogo", in evidente contrasto con la riaffermazione piena e convinta del non possumus del Papa e della Cei . Nel testo dell'Esortazione post-sinodale Sacramentum Caritatis, Benedetto XVI sottolinea infatti la necessità, da parte dei cattolici che ricoprono ruoli pubblici, di dare "pubblica testimonianza della propria fede" . Soprattutto quando è il momento di prendere " decisioni in proposito di valori fondamentali" e per "la promozione del bene comune in tutte le sue forme ". Inoltre, aggiunge il Papa, i vescovi sono "tenuti a richiamare costantemente" i valori non negoziabili dato che "ciò fa parte della loro responsabilità nei confronti del gregge loro affidato" . La Chiesa infatti annuncia il Vangelo, che è Parola di Dio, Parola che cade dal Cielo. L'incomprensibilità viene dall'opera del demonio, dalla Babilonia che è diventata questa società. Offrire, tra le tante, un'altra parola, non è la via seguita dal Signore e dalla sua Chiesa. Sedersi in cattedra per tracciare analisi e indicare percorsi non è il compito precipuo della Chiesa, quello affidatole da Gesù. "Andate ed ammaestrate tutte le Nazioni, insegnando loro a mettere in pratica tutto ciò che io vi ho comandato": sono queste le istruzioni date dal Signore agli apostoli. Semplici, chiare, fedelmente eseguite per duemila anni.

    In ultimo dobbiamo registrare un terzo aspetto. Se per quanto visto sino ad ora le forze avverse alla Chiesa, congiuntamente a quelle di ispirazione cattolico-democratica, i cosiddetti cattolici adulti per capirci, possono prendere a testimonial ideologico delle loro battaglie il Cardinal Martini, il volto concilainte di una Chiesa altrimenti arroccata su posizioni anacronistiche, altettanto non credo si possa dire se entriamo nel merito della questione concreta dei Dico. Pur tra le nebbie di un discorso molto articolato, nel quale alcune considerazioni circa il valore di testimonianza pubblica dell'affetto tra persone omosessuali sono quanto meno inopportune, appaiono alcuni elementi che sembrano negare qualsiasi cittadinanza giuridica alla proposta del Governo in tema di unioni di fatto: " Ma, nel momento in cui chiedono autorizzazione e riconoscimento pubblico, quei rapporti alternativi alla famiglia tradizionale (religiosa o civile che sia) devono sottoporsi anch'essi al giudizio sulla loro rilevanza sociale e civile, in riferimento cioè, per usare un linguaggio più filosofico, al "bene comune". Le unioni omosessuali, pur potendo giungere, a certe condizioni, a testimoniare il valore di un affetto reciproco, comportano la negazione in radice di quella fecondità (non solo biologica) che è la base della sussistenza della società stessa. Le cosiddette "famiglie di fatto" pur potendosi aprire alla fecondità, hanno un deficit costitutivo di stabilità e di assunzione di impegno che ne rende precaria la credibilità relazionale e incerta la funzione sociale. Esse infatti rischiano costitutivamente di gettare a un certo punto sulla società i costi umani ed economici delle loro instabilità e inadempienze....Una volta valutato ciò, a noi sembra che le attenzioni sociali debbano essere commisurate anche alle caratteristiche di pienezza dei vari rapporti, tenendo conto sì di nuove forme relazionali e di quel che di positivo possono introdurre in una società fortemente conflittuale, ma anche intervenendo con diversità di sostegni e di riconoscimenti a seconda del grado più o meno pieno di apporto alla costruzione sociale che dà l'unione familiare... Se non c'è sullo sfondo la volontà di stabilità, i benefici della famiglia perdono quel supplemento di valore che hanno rispetto a qualsiasi rapporto economicistico, anzi possono gettare in una più amara disperazione chi aveva su di essi investito o ne aveva assaporato i primi sorsi". Se pure, in questi passaggi, si riscontrano le solite zone grigie che si aprono a qualsiasi interpretazione, e non tutte cattolicamente ortodosse, è innegabile la nettezza di alcune affermazioni. Se questo è il pensiero del Cardinal Martini, beh, non ci sembra possa essere arruolato tra i supporters dei Dico. Al di là di Rahner (teologo guida di certo pensiero cattolico) e della pubblica opinione nella Chiesa, vagheggiata ed esercitata in pienissima libertà dal Cardinale, vi è uno zoccolo duro, un limite che la Chiesa non può oltrepassare. Lo sa Martini, lo sappiano anche le sirene che continuano a cantare suadenti menzogne.

    [Modificato da Discipula 18/03/2007 14.57]

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    00 18/03/2007 20:04
    Re: Re: Re:

    Scritto da: Discipula 18/03/2007 14.43


    bellissimo! [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811]



    Sante parole!! [SM=g27811]
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    00 20/03/2007 00:29
    da Petrus

    Ho letto questa commovente vicenda nel sito di Gianluca e mi sono permessa di farla leggere anche a voi...la trovo molto bella e edificante!

    La parabola di Angelo e i suoi Auguri "speciali" di buon onomastico al Papa

    Angelo era un uomo buono, aveva 54 anni, una splendida moglie, tre figli, una nipotina e una grande ammirazione per Benedetto XVI. Da giovedì scorso, Angelo non c’è più: purificato dalla sofferenza, ora ci osserva dal Cielo. Angelo lottava dalla primavera scorsa, con fede e dignità esemplari, contro un male incurabile. L’ultima volta che sono andato a rendergli visita, era ancora lucido, sia pure inchiodato al suo letto di dolore come Gesù sulla Croce. Gli ho parlato come fa un figlio, ho cercato di dargli coraggio, gli ho ricordato i tanti aneddoti che lo legavano a mio padre, che proprio tra le sue braccia era spirato nel ‘96. “Lunedì prossimo è San Giuseppe, è la festa del Papà”, gli ricordai ad un certo punto. E lui mi disse: “Non solo: è anche l’onomastico del Papa”. Che grande impressione mi fece questa frase! Angelo sapeva di essere in punto di morte eppure si era ricordato del Pontefice. Ribattei: “Quando starai meglio, quando inizieranno a muoversi un po’ di nuovo le gambe, ti porterò ad assistere all’Udienza Generale del Papa; sai, alla fine della catechesi, Lui incontra sempre gli ammalati”. Mi fissò con le lacrime agli occhi, le mani gli tremavano, vedevo in Angelo una nuova luce, come quella che sa emanare solo la speranza. “Volentieri, volentieri – mi rispose -, ma se non dovesse essere possibile, fagli gli auguri e i complimenti anche da parte mia”. Ecco, Santità, oggi, in questa giornata di festa, Le formulo non solo gli Auguri di buon Onomastico da parte di “Petrus” e dei suoi lettori, ma anche e soprattutto da parte di Angelo, perché sono gli Auguri di una persona che non c’è più, di un uomo che è andato incontro alla morte con fiducia nella Risurrezione, di un cattolico, apostolico e romano che Le ha tributato amore, fedeltà e obbedienza sino all’ultimo respiro. Pochi giorni prima di questo incontro, gli avevo portato un rosario ufficiale del Pontificato. Parlavamo ancora una volta del Santo Padre e lui esprimeva apprezzamento perché diceva che “Ratzinger è il Papa giusto per i nostri tempi”. A un certo punto, una sua familiare lo interruppe: “Benedetto sarà anche bravo, ma io preferivo Giovanni Paolo II”. Ricordo ancora la risposta quasi stizzita di Angelo: “Ma che c’entra? Ma che dici? Il Papa si ama a prescindere dal nome: io amo Ratzinger allo stesso modo in cui amavo Giovanni XXIII quand’ero piccolo”. Già: Angelo voleva bene al Papa come un bambino vuole bene al suo papà. Dunque, ancora Auguri, Santità, e non solo per il Suo onomastico: per le persone come me, come Angelo, come i nostri lettori più affezionati, Lei non è solo Papa ma anche papà.
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    00 21/03/2007 19:04
    da Petrus

    Divertente scambio di battute tra il Papa e i "colleghi" dell'Università di Tubinga....

    La confessione di Ratzinger: "Volevo essere solo un teologo, e invece mi hanno eletto Papa"


    "Volevo fare il teologo e mi tocca fare il Papa". Si puo' sintetizzare cosi' l'allegro scambio di battute avvenuto questa mattina tra Benedetto XVI e i docenti della Facolta' teologica di Tubinga dove lo stesso professor Joseph Ratzinger e' stato docente negli anni '60. Il Pontefice, riferisce la Radio Vaticana, ha confessato scherzosamente che l'incontro, facendolo tornare con la mente ai tempi del suo insegnamento presso il noto Ateneo tedesco, lo ha fatto sentire piu' giovane. Quindi ha confidato che aveva visto nell'insegnamento la propria vocazione. "Ma la volonta' di Dio voleva altra cosa", ha aggiunto. La teologia "non e' una scienza per pochi, essa e' importante per tutti: risponde infatti alle domande che l'umanita' si pone e chiarisce i contenuti della Verita'. Un impegno grande, dunque, quello della teologia, che non va dimenticato e cui essa stessa deve adempiere. Una scienza che non deve fermarsi ad analisi condotte con metodo, ma che deve porgere risposte alle domande fondamentali di oggi". Per il Papa, l'incontro di questa mattina e' stato "un segno dell'unita' interiore" che sussiste fra l'insegnamento della teologia e il proprio servizio pastorale come Pontefice. Il teologo, ha proseguito il Santo Padre, deve "chiedersi sempre se quanto scrive corrisponda al vero e quanto sia importante per il mondo contemporaneo". Benedetto XVI ha poi aggiunto che deve esserci pure "unita' fra insegnamento teologico e servizio pastorale nella Chiesa; per l'uomo, per il mondo e per il nostro futuro". "La teologia - e' stata la conclusione del Papa - ha bisogno del coraggio di fare domande ma deve anche ascoltare devotamente le risposte della fede cristiana, e questo perche' essa non resti al chiuso delle Universita' ma aiuti anche a vivere".
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    Ratzigirl
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    00 03/04/2007 03:00
    da Petrus

    Quando il Concilio presentò i due futuri Papi


    di Angela Ambrogetti


    Gianfranco Svidercoschi non è solo un vaticanista: è un testimone e un amico. Come giornalista ha raccontato per anni il Vaticano, come testimone ha raccontato il pontificato di Karol Wojtyla, come amico ha accetto di raccontarlo a me. Abbiamo parlato soprattutto di una amicizia speciale, “conciliare”. Quella tra un giovane vescovo polacco e un giovanissimo teologo tedesco, che si incontrano nella corrente dell’assise ecumenica e che dopo anni si incontrano, ambedue porporati, per eleggere il papa. Inizia così una collaborazione e una sintonia che ancora segna la vita della Chiesa cattolica. “Fu durante il Concilio che per la prima volta si conobbero Wojtyla e Ratzinger. Wojtyla era al Concilio come vescovo ausiliare e poi da arcivescovo di Cracovia, mentre invece Ratzinger era il perito dell’episcopato tedesco. Certamente presi dal turbinio dei lavoro conciliari, si videro poco, ma comunque anche se da lontano presero a stimarsi reciprocamente. Poi si ritrovarono alla vigilia del primo dei due conclavi del 1978, quello che portò alla elezione di Giovanni Paolo I. Nel frattempo, Ratzinger era diventato arcivescovo di Monaco, quindi cardinale e anche lui partecipava al conclave”. Gianfranco riporta i ricordi di un testimone davvero speciale: don Stanislao, ora cardinale di Cracovia, allora segretario di Wojtyla. Dziwisz lo racconta nel libro “Una vita con Karol” scritto proprio con Svidercoschi. Il polacco e il tedesco si incontrarono prima della elezione di Luciani e “si trattò di un incontro interessante. Parlarono del carattere propriamente cristiano che avrebbe dovuto avere la proposta della Chiesa cattolica al mondo contemporaneo nell’imminente passaggio di millennio. Una analisi della situazione del mondo e della Chiesa in cui loro concordavano soprattutto sul fatto che ci dovesse essere una proposta precisa chiara, un recupero di identità cristiana da parte del cattolicesimo”. E dopo quell’incontro? “Passarono poi tre anni dalla elezione di papa Wojtyla e Giovanni Paolo II chiamò il cardinale Ratzinger a Roma alla guida della Congregazione per la Dottrina della Fede, cioè quello che una volta era chiamato il Sant’Uffizio”. Parleremo ancora dopo del rapporto dottrinale tra Ratzinger e Wojtyla, ma intanto continuo a chiedere a Gianfranco dell’amicizia tra i due. “Il loro era un rapporto personale e costante di affetto che riecheggia nelle testimonianza di Stanislao che lo cita varie volte come per suffragare le sue idee, i suoi sentimenti. Parla nell’ultima del libro del martirio che ha vissuto Giovanni Paolo II con la sua malattia; e forse pochi ricordano che i primi segni del Parkinson sono iniziati addirittura nel 1992 e quindi per tanti anni il papa è restato alla guida della Chiesa nonostante il male che si portava dietro. E don Stanislao cita una frase di Ratzinger: la croce Giovanni Paolo II l’aveva vissuta in prima persona”. Un rapporto quasi suggellato dall’omelia dei funerali di papa Wojtyla. “E’ bellissimo anche quell’episodio finale, quello dei funerali, e volevo ricordare proprio il discorso di Ratzinger come decano del Sacro Collegio. Ratzinger è sempre stato considerato un cardinale burbero e serioso per tutto quello che aveva fatto come Prefetto. Una volta gli chiesi - durante un incontro informale –: “Eminenza, ho qualche difficoltà a riconoscerLa nel teologo progressista del Concilio”, e lui mi guardò sorridendo e poi, eravamo al collegio Teutonico, indicò il palazzo della Congregazione e disse, “io sono stato mandato qui, questo è il mio ruolo”. Insomma, doveva per conto del papa e in nome della Chiesa difendere la fede, questo era il compito. La sua risposta mi fece subito capire come non fosse assolutamente quel conservatore che dicevano che fosse diventato, perché scoprii che era il primo contestatore di questo eccesso di burocratizzazione che la Curia con il tempo era diventata”. Torniamo in piazza San Pietro, ai funerali del papa polacco. “Ecco, questo cardinale considerato così, con questa immagine sbagliata di lui ma anche del suo ruolo, colpì con quel bellissimo discorso, quando cominciò a chiamare addirittura per nome il papa defunto e disse “Karol”. Poi quella bellissima, e ormai famosa chiusa, “Lui ci starà guardando dalla finestra della Casa del Padre, ci vede e ci benedice”. E Don Stanislao dice nel libro che, ancora quasi soverchiato da quello che gli era capitato, aver perduto il suo papa dopo 40 anni, ebbene dice: si anche io mi sono voltato per guardare ma poi non ho avuto il coraggio di guardare su in alto perché non volevo vedere quella finestra, quella del Palazzo Apostolico cui era soloito affacciarsi Wojtyla, che ormai era chiusa e che rimaneva vuota. Nel suo cuore pensava a questo”. La conversazione si interrompe. Tornano alla mente quei momenti dell’aprile di due anni fa. Proseguiremo un altro giorno. Dobbiamo ancora parlare di magistero, anzi, della consequenzialità di un magistero perfettamente “conciliare”: quello tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
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    Ratzigirl
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    00 13/04/2007 01:23
    in attesa degli 80...e del numero II di pontificato....


    Benedetto XVI, doppio augurio


    Lunedì i festeggiamenti per gli 80 anni del Papa e domenica 15 la Messa alla vigilia del 2° anno di pontificato di Angelo Zema

    Doppio augurio. Per due ricorrenze speciali nell’arco di tre soli giorni. Papa Benedetto XVI compirà lunedì prossimo 80 anni, e la Chiesa di Roma, nelle sue varie componenti, si stringerà attorno a lui nella preghiera in occasione della Messa che egli presiederà la mattina del 15 aprile, seconda domenica di Pasqua e festa della Divina Misericordia, alle ore 10, sul sagrato della basilica vaticana. Concelebreranno con il Papa i cardinali (tra cui il cardinale vicario Camillo Ruini), gli arcivescovi e i vescovi capi dicastero della Curia Romana, il vicegerente e i vescovi ausiliari della diocesi di Roma e una rappresentanza dei presbiteri della diocesi. «La Chiesa che è in Roma e nelle varie parti del mondo – si legge in una nota dell’Ufficio delle celebrazioni liturgiche pontificie – è invitata ad unirsi al Santo Padre Benedetto XVI per elevare a Dio Padre un’intensa preghiera di ringraziamento per il Suo 80° genetliaco e il secondo anniversario della Sua elezione». Un anniversario, quest’ultimo, che cade giovedì prossimo 19 aprile.

    Sarà un corale atto di ringraziamento per il suo pontificato, per il suo alto Magistero, per la sua testimonianza di servizio alla verità. Una riconoscenza, da parte della comunità diocesana, per il suo ministero di vescovo di Roma attraverso l’annuncio, le celebrazioni, la presenza in alcuni luoghi significativi della diocesi. È a questa riconoscenza che desideriamo unirci, ripercorrendo, sia pur brevemente, il secondo anno del pontificato «romano» di Benedetto XVI.

    Un anno - aprile 2006/aprile 2007 - costellato da celebrazioni con i giovani e con gli universitari, dalle visite a due parrocchie e ad un carcere (Casal del Marmo) e da altri momenti intensi, come la recente Via Crucis al Colosseo nel Venerdì Santo o l’omaggio all’Immacolata in piazza di Spagna (8 dicembre). Ma andiamo con ordine, partendo dal 1° maggio 2006, giorno della visita del Santo Padre al santuario della Madonna del Divino Amore, dove guida la recita del Rosario, invocando «un forte aiuto e sostegno spirituale» di Maria per la diocesi di Roma, «per me suo vescovo e per gli altri vescovi miei collaboratori, per i sacerdoti, per le damiglie, per le vocazioni, per i poveri, i sofferenti, gli ammalati, per i bambini e per gli anziani, per tutta l’amata nazione italiana». Eccolo, poi, nella domenica successiva, Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, conferire l’ordinazione sacerdotale a 15 diaconi della diocesi (rito che si ripeterà anche quest’anno, il 29 aprile). Il 5 giugno è nella basilica di san Giovanni in Laterano, la «sua» cattedrale, per aprire il Convegno diocesano, con una relazione sul tema «La gioia della fede e l’educazione delle nuove generazioni»: risalta in particolare l’appello a far vivere la fede come avvenimento che cambia la vita, anche attraverso una «pastorale dell’intelligenza», che «prenda sul serio le domande dei giovani per aiutarli a trovare delle valide e pertinenti risposte cristiane».

    Pochi giorni dopo, il tradizionale appuntamento con la processione del Corpus Domini da San Giovanni a Santa Maria Maggiore: si innalza la preghiera a Cristo affinché guidi la Chiesa «sulle strade della storia». Domenica 23 luglio la Chiesa di Roma si unisce con grande partecipazione alla giornata di preghiera e penitenza per la pace indetta da Benedetto XVI di fronte all’aggravarsi della situaizone in Medio Oriente. Dopo l’estate, il primo impegno del Papa come vescovo di Roma nella sua diocesi è la visita alla pontificia Università Lateranense, dove benedice la ristrutturata biblioteca, l’aula magna a lui intitolata e la rinnovata sala di lettura dedicata al compianto Giovanni Paolo II. Ma ottobre è in particolare il mese di Verona, dove risuona anche per la nostra diocesi la sollecitazione del Santo Padre, intervenuto nel cuore del Convegno ecclesiale nazionale: «Restituire alla fede piena cittadinanza». Altri due gli appuntamenti del Papa con il mondo romano dell’università: il 23 la celebrazione in apertura dell’anno accademico degli atenei pontifici, il 3 novembre la visita all’Università Gregoriana, dove il Pontefice afferma che «negare Dio offusca la retta coscienza dell’uomo».

    Domenica 10 dicembre Benedetto XVI presiede la dedicazione della nuova chiesa parrocchiale di Santa Maria Stella dell’Evangelizzazione, al Torrino Nord; pochi giorni dopo, saluta gli universitari degli atenei romani nella basilica di San Pietro. Il 2007 si apre nel segno della carità: il 4 gennaio il Papa entra nella mensa della Caritas diocesana di via delle Sette Sale, al Colle Oppio, e la definisce «un luogo significativo della città di Roma, ricco di umanità». Nella basilica di San Paolo fuori le mura, il 25 gennaio, conclude la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, ricordando gli impegni essenziali nel dialogo ecumenico. L’11 febbraio, festa della Beata Vergine di Lourdes, saluta gli ammalati e i fedeli di Opera romana pellegrinaggi e Unitalsi nella basilica di san Pietro. Numerosi gli impegni di marzo, i primi due ormai tradizionali: il rito delle Ceneri nella basilica di Santa Sabina all’Aventino e l’incontro con il clero romano, in cui parla di una «fede ancora profondamente radicata ma minacciata nella situaizone odierna».

    Domenica 18 marzo la prima visita di Benedetto XVI in un carcere: è tra i ragazzi dell’istituto penale di Casal del Marmo, ai quali dice: «Il Papa vi vuole bene». E definisce i «comandamenti» come «indicatori della strada su cui camminare per trovare la vita». Sette giorni dopo, è accolto dalla comunità parrocchiale di Santa Felicita e Figli Martiri a Fidene, periferia nord della capitale. Il 29 marzo, presiede in San Pietro la celebrazione della Penitenza con i giovani della diocesi di Roma alla vigilia della XXII Giornata mondiale della gioventù: a loro rivolge di nuovo l’invito ad «osare l’amore». È la celebrazione che precede l’inizio della Settimana Santa, aperta dalla Messa nella Domenica delle Palme. Il giorno successivo, la Messa di suffragio per Giovanni Paolo II, poche ore dopo la chiusura della fase diocesana della sua causa di beatificazione e canonizzazione. Ed eccoci a oggi e alla celebrazione di domenica 15, all’abbraccio della Chiesa di Roma e della Chiesa universale al Papa. Con il doppio augurio accompagnato dalla preghiera.
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    00 18/04/2007 00:47
    da Ragion Politica

    Una bellissima analisi davvero!!!

    Ottant'anni di amicizia con Gesù

    di Gianteo Bordero

    Ieri, 16 aprile, Benedetto XVI ha compiuto ottant'anni. Egli stesso ha voluto parlarne durante l'omelia della messa celebrata domenica in piazza san Pietro davanti a più di cinquantamila fedeli. Uno dei passaggi del suo discorso che più ci aiutano a capire la figura di Joseph Ratzinger e la grandezza del suo pontificato è contenuto nelle espressioni con cui egli ha parlato del momento in cui, cinquantasei anni fa, fu ordinato sacerdote: «Nella festa dei santi Pietro e Paolo del 1951 - ha detto il Papa - quando noi ci trovammo nella cattedrale di Frisinga prostrati sul pavimento e su di noi furono invocati tutti i santi, la consapevolezza della povertà della mia esistenza di fronte a questo compito mi pesava».

    Espressioni che riecheggiano quelle pronunciate al momento della sua elezione a Papa, il 19 aprile del 2005 («Dopo il grande Papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore. Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare e agire anche con strumenti insufficienti») e nei giorni immediatamente successivi a tale evento. Incontrando i pellegrini tedeschi nell'aula Paolo VI, raccontando gli ultimi momenti del Conclave, disse Benedetto XVI: «Quando, lentamente, l'andamento delle votazioni mi ha fatto capire che, per così dire, la scure sarebbe caduta su di me, la mia testa ha incominciato a girare. Ero convinto di aver svolto l'opera di tutta una vita e di poter sperare di finire i miei giorni in tranquillità. Con profonda convinzione ho detto al Signore: non farmi questo! Disponi di persone più giovani e migliori, che possono affrontare questo grande compito con tutt'altro slancio e tutt'altra forza».

    Queste parole del Papa sfatano in modo tranchant l'immagine, cara a tanti media, di una Chiesa e di un pontefice «muscolare», e ci riportano di colpo al nocciolo della questione, al motivo per cui Benedetto XVI attira attorno a sé, in maniera sempre crescente, l'attenzione dei credenti e dei non credenti. In sostanza, si tratta del fatto che la grande proposta che questo Papa sta rivolgendo ai cristiani e ai non cristiani non consiste, nonostante le apparenze, in una formula teologica, in una dogmatica, in una dottrina morale - tutte cose che potrebbero nascere, al limite, da uno sforzo umano a livello intellettuale, da una particolare capacità speculativa e immaginativa. No, il cristianesimo è una cosa diversa, altra. Non viene fuori come progetto umano, come atto di forza di un gruppo organizzato di persone capace di imporsi al mondo. Sgorga innanzitutto come dono. Ha il suo punto sorgivo in una chiamata che si rivolge alla libertà dell'uomo e alla sua capacità di accoglierla. In altre parole: il cristianesimo è innanzitutto l'offerta di un'amicizia che il Figlio di Dio fattosi carne mette nelle mani dell'uomo secondo un dinamismo della libertà che coinvolge a un tempo Dio e la sua creatura: liberamente Dio sceglie di chiamare a sé l'uomo, liberamente l'uomo può accettare o rifiutare questa chiamata, l'offerta di questa amicizia.

    Sta qui il grande mistero dell'esperienza cristiana, quello che Benedetto XVI ci vuol testimoniare quando ci racconta la sua vicenda umana e i suoi ottant'anni. L'initium sta sempre, per così dire, in qualcosa che ci precede, in qualcosa che la persona riceve; sta, cioè - per usare le parole del Papa - nella «Misericordia Divina» che si piega sulle miserie dell'uomo per trarlo in salvo dal naufragio nel nulla, nell'insensatezza, nella confusione. «Sulla base dell'esperienza umana - ha detto Benedetto XVI ai fedeli accorsi in piazza San Pietro - mi si è schiuso l'accesso al grande e benevolo Padre che è nel cielo. Davanti a Lui noi portiamo una responsabilità, ma allo stesso tempo Egli ci dona la fiducia, perché nella sua giustizia traspare sempre la misericordia e la bontà con cui accetta anche la nostra debolezza e ci sorregge, così che man mano possiamo imparare a camminare diritti». E ancora: «Le misericordie di Dio ci accompagnano giorno per giorno. Basta che abbiamo il cuore vigilante per poterle percepire. Siamo troppo inclini ad avvertire solo la fatica quotidiana che a noi, come figli di Adamo, è stata imposta. Se però apriamo il nostro cuore, allora possiamo, pur immersi in essa, constatare continuamente quanto Dio sia buono con noi; come Egli pensi a noi proprio nelle piccole cose, aiutandoci così a raggiungere quelle grandi».

    Quanto è diversa, questa prospettiva, dall'immagine del cristianesimo che sembra farla da padrona a livello mediatico e di opinione pubblica, l'immagine di un cristianesimo che è innanzitutto coerenza a una dottrina piuttosto che, come invece ci dice il Papa, corrispondenza a una persona, alla Persona del Dio fattosi uomo. E' letteralmente un rovesciamento dei termini consueti con cui parliamo di noi stessi e di Dio quello compiuto da Benedetto XVI, un rovesciamento che però sembra maggiormente capace di parlare alla vita degli uomini rispetto alle tante formule che cercano di racchiudere l'esistenza in gabbie dorate ma, in fondo, asfissianti. Con disarmante semplicità, attraverso il racconto della sua esperienza, il Papa ci riporta a un tempo alla radice della nostra condizione umana, al nostro bisogno carnale di un significato reale, e al mistero cristiano di un Dio «misericordia» che, come ci ricorda il Vangelo, è venuto nel mondo non per curare i sani, ma i malati.

    Tutti gli ottant'anni di Joseph Ratzinger sono stati la maturazione di questa consapevolezza, che si riverbera oggi nel suo sguardo prima ancora che nelle sue parole, nel suo porsi con tenerezza discreta di fronte al mondo che lo osserva prima ancora che nel tenore dei suoi discorsi. Non si comprendono cioè, le parole e i discorsi di Benedetto XVI, se non innanzitutto guardando a quello che egli è e a quella proposta che attraverso il suo essere in amicizia col Dio di Gesù Cristo si irradia al di fuori di lui, raggiungendo chi lo ascolta. In sostanza, oggi non siamo di fronte soltanto agli ottant'anni di un grande teologo, di una figura importante per la storia della Chiesa del Novecento, di un intellettuale a tutto tondo. Lo stesso Ratzinger sembra chiederci di non guardarlo solo così, perché la prima e più importante questione è ciò che sta all'origine. Benedetto XVI non propone ai cristiani e al mondo di seguire la sua teologia, il suo pensiero, il suo modo di vedere le cose (nel libro su Gesù uscito ieri in libreria afferma addirittura che ciascuno è libero di contraddirlo), ma di accettare quell'amicizia di Gesù in cui lui ha trovato il senso più profondo dell'esistere come uomini, la sorgente del riscatto dalla forza del male, la fonte della vera gioia.
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    00 18/04/2007 23:53
    Dall'Osservatore

    Una delle più belle pagine che riassumono due anni di Pontificato.
    DA LEGGERE ASSOLUTAMENTE!!!!



    La primavera dell'intrepido Timoniere della Chiesa

    Due ricorrenze petrine vissute come un'unica, intensa giornata di festa. La gioia del popolo di Dio per l'80° genetliaco di Benedetto XVI si prolunga e si dilata in questo solare mercoledì di primavera, vigilia del secondo anniversario di Pontificato. È una primavera non soltanto "meteorologica" ma soprattutto "spirituale" ed "ecclesiale", quella che avvolge con la sua luce radiosa Piazza San Pietro. Una primavera che palpita di fede e di gaudio interiore in questa singolare udienza generale, nella quale risuona ancora viva l'eco dell'abbraccio con cui migliaia e migliaia di fedeli si sono stretti in questi giorni al Successore di Pietro, tributandogli un augurio traboccante di filialità.
    È primaverile il clima in Piazza San Pietro, dove oggi più che mai batte il cuore ardente e devoto della Chiesa. È primaverile il colore di Piazza San Pietro, che come una "tavolozza" dello Spirito mostra al Papa la variopinta vivacità di un popolo impagabile nel suo attaccamento e nel suo calore. "Lodiamo e ringraziamo Dio per il dono di Papa Benedetto", si legge su uno dei tanti striscioni levati con entusiasmo verso l'azzurro del cielo. Poche parole che hanno l'eco semplice e smisurata di un'universale preghiera di riconoscenza.
    Ed è primaverile anche lo spirito di giovanile freschezza con cui il Papa sta vivendo queste giornate. È primaverile questa stagione del suo cuore e della sua vita. È primaverile l'animo di questo "giovane ottantenne" che - con il sorriso mite e la delicata paternità che lo hanno fatto conoscere al mondo sin dal primo giorno del Pontificato - da due anni regge il timone della Barca di Pietro senza risparmiarsi per la causa del Regno. "Padre Santo amatissimo, con Lei per sempre con gioia e con amore nella Vigna del Signore" è scritto ancora su quello striscione. È l'affetto orante di un popolo in festa che accompagna i passi dell'intrepido "Timoniere" della Chiesa.

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    00 20/04/2007 02:50
    da Trenta Giorni

    Bellissime e scolpite nel cuore le parole del Card. Tomko (che per intendersi con le più ferrate è lo stesso che impose le Ceneri sul capo del Papa lo scorso anno....)


    Papa Ratzinger: mente e cuore


    del cardinale Jozef Tomko


    Molta acqua è passata sotto i ponti del Tevere, da quando nel 1969 incontrai il giovane professore Joseph Ratzinger nella prima riunione della Commissione teologica internazionale di cui mi toccò organizzare l’aspetto tecnico. Fra i trenta membri vi erano nomi di gran prestigio: il vescovo Carlo Colombo, il vivace padre Yves Congar, l’umile padre Henri de Lubac, il rumoroso (a causa del debole udito) padre Karl Rahner, il taciturno Hans Urs von Balthasar, per nominarne soltanto alcuni. Joseph Ratzinger fu tra i più giovani, lo si vedeva spesso in compagnia del noto esegeta Rudolf Schnackenburg. L’atmosfera generale postconciliare era ancora abbastanza calda, ma le discussioni in seno alla Commissione furono rispettose, anche se a volte vivaci. Ratzinger interveniva poco e manifestava chiaramente il suo temperamento discreto, gentile e sobrio, con una cordialità misurata ma sincera. Comunque, il suo prestigio teologico e umano cresceva.
    Paolo VI lo nominò nel 1977 arcivescovo della capitale bavarese e cardinale; Giovanni Paolo II lo designò, nel 1980, come relatore generale dell’importante assemblea sinodale sul matrimonio e sulla famiglia. Si può dire che questa fu la sua prima apparizione, prolungata per un mese di collegiale cooperazione, sotto gli occhi dei pastori provenienti da tutto il mondo. La profondità della dottrina, il rispetto delle opinioni collegato con la lineare chiarezza e sensibilità pastorale, gli procurarono molti consensi nell’episcopato mondiale e la sua nomina nel 1981 a prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, in successione al cardinale Franjo Seper, sorprese forse più lui che l’episcopato.
    Qui cominciò la metamorfosi, certo non del cardinale Ratzinger ma della sua immagine nei media. Una certa stampa gli applicò le proprie categorie e i cliché già elaborati per il vecchio Sant’Offizio, e ne fece un “grande inquisitore”, senza cuore, rigido e duro, con aggettivi che la carta stampata oggi si vergogna di sopportare. Un’immagine volutamente falsata da alcune parti tanto sotto l’aspetto della dottrina quanto sotto quello dell’umanità. Chi lo conosceva da vicino, poteva solo meravigliarsi di tanta acredine e ammirare la sua forza d’animo e serenità. Mi ricordo le sue profonde riflessioni estemporanee in un colloquio sulla virtù della fortezza. Fu la sua risposta silenziosa e dignitosa agli ingiusti e bassi attacchi. Nelle nostre riunioni in seno alla Congregazione, che – guarda caso – conserva il metodo di lavoro collegiale, e nei contatti personali noi abbiamo conosciuto un altro Ratzinger. I voti scritti con cura nel suo quaderno, con i quali approfondiva il tema che dovevamo discutere, erano la scuola non solo di alta teologia, ma anche di ragionevole moderazione dei toni. Quando si trattava di dover affrontare le opinioni di un autore, il prefetto era sempre pronto a proporre il dialogo con quel teologo. Il suo atteggiamento verso il personale e persino verso la gente che incontrava quando in tutta semplicità, con il basco in testa e la borsa nella mano, attraversava la piazza di San Pietro sulla strada tra l’ufficio e la casa, manifestava il cuore umano.
    Cuore sensibile e cuore di pastore.
    Chi ascoltava la sua calda omelia per il venticinquesimo del suo episcopato nella chiesa di Santa Maria in Trastevere, alla presenza dei concittadini bavaresi in costume, e i discorsi spirituali proferiti in altre occasioni, poteva intuire la profonda spiritualità sacerdotale del cardinale. Le grandi masse l’hanno conosciuta soprattutto in occasione dei funerali dell’indimenticabile Giovanni Paolo II. Del resto, il tatto e la saggezza con cui ha diretto le riunioni del Collegio cardinalizio, radunato al completo, durante i novendialia, lo hanno fatto conoscere da vicino e apprezzare anche ai porporati provenienti da lontano.
    Durante questi memorabili eventi l’immagine pubblica del cardinale Ratzinger cambiava e diventava sempre più veritiera. Era lui, con tutta la sua umanità e fede, che apparve con le braccia aperte la sera dopo la sua elezione sulla loggia della Basilica di San Pietro alla folla accorsa in piazza. Ed era ancora lui, solo lui, che ho potuto ascoltare nel discorso pronunciato in un forbito latino la mattina seguente nella Cappella Sistina, ormai aperta. Senza esserlo dichiaratamente, era in fondo un discorso programmatico: dopo il richiamo all’eredità di Giovanni Paolo II vi era la ferma fiducia nell’aiuto divino, la volontà di seguire il Concilio Vaticano II come bussola, nello spirito di collegialità episcopale, centrata sull’Eucaristia e sul Risorto; seguiva poi l’invito ai sacerdoti, l’impegno per l’ecumenismo e il dialogo, per la famiglia umana e lo sviluppo sociale, e l’appello ai giovani.
    I due anni del fecondo pontificato sono ora presenti davanti agli occhi di tutti: il viaggio in Polonia, la Giornata mondiale della gioventù, i discorsi in Baviera, compreso quello di Regensburg, la Turchia come viaggio dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso, il grande discorso alla Chiesa italiana a Verona, per menzionare soltanto alcuni gesti. La gente accorre a incontrare Benedetto XVI perché ogni sua omelia o discorso è un nutrimento per lo spirito e per l’intelligenza. Persino quella breve riflessione domenicale all’Angelus dalla finestra del Palazzo Apostolico, diventata ormai una cattedra, raccoglie una numerosa folla di fedeli, italiani e stranieri. Un giovane mi ha spiegato: «Lo ascolto volentieri perché parla profondamente, eppure io lo capisco». Il mondo ha già riscoperto in Benedetto XVI non solo la lucida ragionevolezza del professore e teologo ma anche e soprattutto il cuore di pastore, servus servorum Dei, con il delicato sorriso e le braccia aperte.
    Penso che il miglior augurio per l’ottantesimo compleanno di Benedetto XVI sia quello classico, liturgico: «Dominus conservet eum!».



    BELLISSIMO!!!!!!!!MERITAVA DI STARE NELLA STAMPA...MA QUI E' VERAMENTE NEL MIGLIOR POSTO PER NON ESSERE DIMENTICATO!!!!!
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    Ratzigirl
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    00 23/04/2007 15:23
    Bellissima omelia scritta ne "La Padania"

    LEGGETELA E' BELLISSIMA!!!

    Mai viste tante comunioni: questo Papa risveglia la fede

    Sciur Curat*

    Cari amici, oggi è una giornata un po’ particolare per tutti noi: abbiamo il Santo Padre a casa nostra. Come sua prima uscita pastorale in visita a delle diocesi sul suolo italico, Benedetto XVI ha deciso di venire in Padania, nella nostra terra, per stare in mezzo a noi. Durante questa sua visita, che io ho onorato andando ad ascoltarlo nella meravigliosa piazza Ducale di Vigevano, nella giornata di ieri, posso dirvi di essere rimasto fortemente impressionato dalla intensa spiritualità. È proprio vero quel detto padano “morto un Papa, se ne fa un altro”; senza togliere nulla a Giovanni Paolo II, il quale aveva la grande capacità di smuovere folle oceaniche per i suoi incontri, ho l’impressione, per quello che ho potuto vedere ieri, che Papa Ratzinger non solo riempia le piazze, ma pure le chiese; mai ho visto distribuire tante comunioni; e pensare che sono un addetto ai lavori e di incontri con i Papi ne ho fatti più di uno. Per questo evento mi sono posto delle domande. Nel mondo della Chiesa, nessun evento nasce dalla casualità. La mia domanda è: perché il Papa la sua prima visita decide di farla in Padania e di andare a pregare sulla tomba di Sant’Agostino? Chi era costui? Così narrano le enciclopedie: Agostino, Aurelio, santo vescovo d’Ippona, il più illustre dei quattro grandi dottori della Chiesa occidentale, figura gigantesca di pensatore e scrittore. Nacque nella Numidia preconsolare, a Tagaste, il 13 novembre del 354. Dopo una giovinezza disordinata e padre di un figlio avuto con una concubina, arriva la conversione, grazie all’ascolto delle prediche domenicali del nostro grande Sant’Ambrogio, che dava alle Sacre scritture l’impronta di un sano allegorismo, che le rendeva chiare e accettabili in tutti i passi. Battezzato a Milano il sabato santo, 24-25 aprile 387, più di 250 sono i suoi scritti che ha lasciato; per tutti noi il più famoso sono le Confessioni, che vi invito a leggere, perché la parola d’ordine dell’intera opera è l’amore. Muore a 76 anni, il 28 agosto 430. Sepolto nella sua Basilica pacis, la salma venne trasportata in Sardegna dai vescovi Africani; fu poi riscattata dalle mani dei Saraceni per opera di Liutprando e trasferita a Pavia nella bellissima basilica di San Pietro in ciel d’oro, dove oggi il Papa andrà a rendergli omaggio. Come avete potuto capire, la figura del grande santo ben merita la visita di un grande Papa, teologo e pensatore; sicuramente dagli scritti e dalle gesta di Sant’Agostino egli ha potuto formulare il suo pensiero e ritrasmetterlo a tutti noi, con la sua bravura di grande pastore. E questo messaggio che rivolgerà a tutto il mondo lo fa dalla nostra Padania. È almeno un’occasione per ricordare a molti che tra noi riposano le spoglie del grande santo. Buondì a tucc**.
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    Sihaya.b16247
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    00 24/04/2007 10:52
    Re: Bellissima omelia scritta ne "La Padania"

    Scritto da: Ratzigirl 23/04/2007 15.23

    LEGGETELA E' BELLISSIMA!!!

    Mai viste tante comunioni: questo Papa risveglia la fede

    Sciur Curat*

    Cari amici, oggi è una giornata un po’ particolare per tutti noi: abbiamo il Santo Padre a casa nostra. Come sua prima uscita pastorale in visita a delle diocesi sul suolo italico, Benedetto XVI ha deciso di venire in Padania, nella nostra terra, per stare in mezzo a noi. Durante questa sua visita, che io ho onorato andando ad ascoltarlo nella meravigliosa piazza Ducale di Vigevano, nella giornata di ieri, posso dirvi di essere rimasto fortemente impressionato dalla intensa spiritualità. È proprio vero quel detto padano “morto un Papa, se ne fa un altro”; senza togliere nulla a Giovanni Paolo II, il quale aveva la grande capacità di smuovere folle oceaniche per i suoi incontri, ho l’impressione, per quello che ho potuto vedere ieri, che Papa Ratzinger non solo riempia le piazze, ma pure le chiese; mai ho visto distribuire tante comunioni; e pensare che sono un addetto ai lavori e di incontri con i Papi ne ho fatti più di uno. Per questo evento mi sono posto delle domande. Nel mondo della Chiesa, nessun evento nasce dalla casualità. La mia domanda è: perché il Papa la sua prima visita decide di farla in Padania e di andare a pregare sulla tomba di Sant’Agostino? Chi era costui? Così narrano le enciclopedie: Agostino, Aurelio, santo vescovo d’Ippona, il più illustre dei quattro grandi dottori della Chiesa occidentale, figura gigantesca di pensatore e scrittore. Nacque nella Numidia preconsolare, a Tagaste, il 13 novembre del 354. Dopo una giovinezza disordinata e padre di un figlio avuto con una concubina, arriva la conversione, grazie all’ascolto delle prediche domenicali del nostro grande Sant’Ambrogio, che dava alle Sacre scritture l’impronta di un sano allegorismo, che le rendeva chiare e accettabili in tutti i passi. Battezzato a Milano il sabato santo, 24-25 aprile 387, più di 250 sono i suoi scritti che ha lasciato; per tutti noi il più famoso sono le Confessioni, che vi invito a leggere, perché la parola d’ordine dell’intera opera è l’amore. Muore a 76 anni, il 28 agosto 430. Sepolto nella sua Basilica pacis, la salma venne trasportata in Sardegna dai vescovi Africani; fu poi riscattata dalle mani dei Saraceni per opera di Liutprando e trasferita a Pavia nella bellissima basilica di San Pietro in ciel d’oro, dove oggi il Papa andrà a rendergli omaggio. Come avete potuto capire, la figura del grande santo ben merita la visita di un grande Papa, teologo e pensatore; sicuramente dagli scritti e dalle gesta di Sant’Agostino egli ha potuto formulare il suo pensiero e ritrasmetterlo a tutti noi, con la sua bravura di grande pastore. E questo messaggio che rivolgerà a tutto il mondo lo fa dalla nostra Padania. È almeno un’occasione per ricordare a molti che tra noi riposano le spoglie del grande santo. Buondì a tucc**.



    Peccato solo per quella "Padania"... [SM=g27820]:
  • Discipula
    00 03/05/2007 11:55
    Una lettera di Berlicche
    Odio il Papa. S'è ripreso pure Gesù

    di Berlicche

    Mio caro Malacoda,
    questo Papa sta diventando insopportabile. Sembra abbia preso alla lettera la teoria dell'ingiusto possesso, quella di cui sono convinti assertori alcuni cattolici e secondo la quale se «tutto è vostro, la vita, la morte, il presente e il futuro.», chi si è impossessato di qualcosa la detiene provvisoriamente, ma verrà il giorno della riconsegna al legittimo proprietario. E non sto a precisarti chi sia questo legittimo proprietario nelle convinzioni di Benedetto XVI, basta che tu vada avanti nella lettura del brano di Paolo di Tarso che ti ho citato, non farmi nominare il nome del Nemico a proposito, che mi innervosisco ulteriormente. Gli ultimi due esempi di questa macroscopica operazione di riappropriazione sono per noi un duro colpo, mandano in fumo un paziente lavoro di secoli, grazie al quale avevamo fatto penetrare lentamente ma inesorabilmente nella coscienza comune dei cristiani alcune idee che col cristianesimo non avevano nulla a che fare.
    Per farti capire la gravità di quello che è successo parto dall'ultimo episodio, dall'ultima ripresa di possesso: sant'Agostino. È successo domenica scorsa a Pavia, un discorso che fa carta straccia di anni di convegni e pubblicazioni. Eravamo riusciti a farlo diventare di moda: il santo dell'intimità, delle confessioni, del cercare dentro se stessi, dell'autoanalisi, del cammino interiore, della spiritualità. si portava molto, soprattutto tra i laici. Si parlava tanto di lui e delle sue "Confessioni", quasi mai della sua "conversione", del suo essere in "ricerca", mai del suo aver trovato. Gli sono bastate tre righe: «Era sempre tormentato dalla questione della verità. Voleva trovare la verità. La passione per la verità è la vera parola-chiave della sua vita. E c'è ancora una peculiarità. Tutto ciò che non portava il nome di Cristo non gli bastava». Quest'ossessione per la verità mi fa impazzire, ma perché gli uomini non si accontentano di essere onesti, sinceri, coerenti. Tutto potrebbe risolversi in una spiritualissima e altissima introspezione (al resto penseremmo noi) e invece spunta sempre qualcuno che va a cercare fuori di sé quello che gli permette di essere in sé. Sono fuori di me dalla rabbia. Ma peggio ci è andata con la vicenda della ricerca storica su quel loro Gesù di Nazaret. A questo Benedetto XVI non gli basta fare il Papa, continua a fare il teologo e scrive pure libri. E sfotte: «Ognuno è libero di contraddirmi», quando è lui che ha appena finito di contraddire, e di fare a pezzi, duecento anni di metodo "storico-critico". Ha dimostrato che per usare un metodo bisogna innanzitutto conoscerne i limiti. È la stessa storia della scienza, per essere scientifici non bisogna credere che il metodo scientifico sia onnipotente, ha i suoi limiti e i suoi campi di applicazione. Insomma avevamo convinto schiere di esegeti che bisognava conoscere il Gesù storico portandoli al risultato che Gesù e storia erano due parole che mal si conciliavano e adesso questo Ratzinger ha la pretesa di «presentare il Gesù dei Vangeli come il Gesù reale, come il Gesù storico in senso vero e proprio», una «figura molto più logica e dal punto di vista storico anche più comprensibile delle ricostruzioni con le quali ci siamo dovuti confrontare negli ultimi decenni. una figura sensata e convincente». Non so se riuscirà a convincere esegeti e teologi, intanto ha già venduto centomila copie solo in Italia. Sai questa fissazione che capiscono prima gli umili. Una rovina!

    Tuo affezionatissimo zio Berlicche

    fonte



    [Modificato da Discipula 03/05/2007 12.03]

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